Roma. “il Marchese”: sequestro beni a pregiudicato, era in rapporti la mafia calabrese
I Finanzieri del Comando Provinciale di Roma e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, hanno eseguito stamani un decreto di sequestro di prevenzione, emesso dal Tribunale di Roma su richiesta Direzione Distrettuale Antimafia capitolina, nei confronti del pregiudicato Claudio Cannavò e di alcuni suoi presunti “prestanome”.
Cannavò è ampiamente noto alle Forze di Polizia, tanto che, sin dal 1990, è stato oggetto di molteplici segnalazioni a numerose Autorità Giudiziarie per reati di vario genere: ricettazione, riciclaggio, porto abusivo e detenzione di armi, rapina, lesioni personali, tentata violenza sessuale a scopo di rapina e usura aggravata. Lo stesso avrebbe avuto anche rapporti con pregiudicati mafiosi calabresi.
Illuminante, in tal senso, è risultata agli inquirenti la rilettura di vecchie intercettazioni telefoniche, in cui Cannavò sottolineava come, per l’esecuzione delle rapine, “i romani” fossero sicuramente più “specializzati” rispetto “ai calabresi” o “ai napoletani”:
Intercettazione: “… le rapine a Napoli non le sanno fare per niente. Le rapine serie ci vogliono sempre questi di Roma per farle a Napoli. A Napoli, in Calabria...sono ottusi, non le sanno fare per niente! … i Napoletani, i Calabresi, quando hanno da fare un lavoro serio dove ci sono i soldi, lavoro tipo un blindato o una cosa del genere, vengono sempre qui a Roma.(Inc.) … La gente brava è quella che non fa "succedere" i morti. Poi se deve succedere, oh, la vita mia con quella di quell'altro...e' meglio quella di quell'altro. …”;
L’uomo si sarebbe anche vantato delle entrature criminali su cui poteva contare nella capitale:
I.: “… tutti i più grossi pregiudicati, tutti, li conosco tutti! non è che ti dico che ne conosco il 70, l'80%. tutti quanti, tutto il 100%. tutti! di Roma, io ti parlo di Roma...non ti dico tutti quanti, ma di Roma tutti proprio! …”.
L’attività svolta dal Nucleo di Polizia Tributaria di Roma e dallo Scico, supportata anche da servizi sul territorio, come appostamenti e pedinamenti, avrebbe pertanto permesso di accertare come, nel corso degli ultimi quindici anni, Cannavò abbia progressivamente accumulato un rilevante patrimonio immobiliare, “mediante l’intestazione fittizia a prestanome”, sostengono gli investigatore. Il provvedimento di oggi, in sintesi, ha riguardato 17 unità immobiliari, 6 veicoli, 2 cassette di sicurezza e le disponibilità finanziarie intestate all’uomo e ai suo familiari, per un valore complessivo di circa 3,5 milioni di euro.