Imprenditore colluso col clan Piromalli. Maxi blitz nella Piana: 11 arresti e sequestri

Reggio Calabria Cronaca

Undici ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti presunti affiliati alla ‘ndrangheta; 26 perquisizioni domiciliari effettuate in Calabria, Campania e Toscana; 12 società e beni sequestrati per un valore complessivo di oltre 210 milioni di euro.

Questi i dati dell’operazione “Bucefalo” scattata alle prime luci dell’alba e che avrebbe portato a disarticolare un’associazione di stampo mafioso composta da soggetti considerati affiliati alla storica cosca dei Piromalli, imperante nella Piana di Gioia Tauro (Reggio Calabria). I reati contestati sono l’associazione per delinquere di stampo mafioso, contraffazione, frode in commercio, ricettazione e vendita di prodotti industriali con segni mendaci.

Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, dimostrerebbero - secondo gli inquirenti - l’esistenza di “pluriennali rapporti d’affari” tra un noto imprenditore della Piana ed i principali referenti della cosca, rapporti che gli avrebbero permesso di costituire un vero e proprio “impero” economico-commerciale che sarebbe stato “difeso”, nel corso del tempo, dalle potenziali minacce di altre cosche criminali concorrenti. Protezione che, sempre secondo gli investigatori, avrebbe consentito all’imprenditore ritenuto colluso di “imporsi sul mercato agendo da assoluto monopolista”.

L’imponente operazione è stata condotta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza reggina, dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e dello Scico di Roma.


I DESTINATARI DEI PROVVEDIMENTI

13:14 | Degli 11 arresti effettuati stamani uno è in carcere, sette ai domiciliari e tre con l’obbligo di dimora. Contestualmente è scattato il sequestro delle quote di 12 società e altri beni per un valore di oltre 210 milioni di euro, tra cui il complesso immobiliare del Parco CommercialeAnnunziata” di Gioia Tauro. Il sequestro in questione rappresenta, per importanza e per consistenza, uno dei più significativi operati negli ultimi anni.

In particolare l’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa nei confronti di Alfonso Annunziata (custodia in carcere); Domenica Epifanio, Rosa Anna Annunziata, Valeria Annunziata, Marzia Annunziata, Carmelo Ambesi, Claudio Pontoriero, Roberta Bravetti, arresti domiciliari, Andrea Fanì e Annunziata Fioravante, obbligo di dimora.

Nell’ambito delle indagini, sviluppatesi attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, attività di osservazione, pedinamento e controllo nonché attraverso l’analisi di un vasto e variegato materiale documentale ed anche grazie alle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, è stato acquisito un quadro indiziario che dimostrerebbe, per l’accusa, l’intraneità dell’imprenditore Alfonso Annunziata – di origini campane, ma stabilitosi a Gioia Tauro sin dalla fine degli anni ’80 - alla 'ndrangheta e, in particolare, all’articolazione territoriale della cosca “Piromalli”, una delle più potenti come svariate sentenze avrebbero confermato.


L’IMPRENDITORE E I RAPPORTI COL CLAN

Le indagini portate a termine dalle Fiamme Gialle evidenzierebbero che i rapporti tra l’imprenditore e il gruppo criminale risalgono agli albori dell’attività commerciale di Annunziata, ovvero ad oltre un trentennio, “e che il suo iniziale ruolo di vittima, estorto dalla ndrangheta - spiegano gli investigatori - si è poi trasformato nel tempo in un chiaro rapporto simbiotico, dal quale sia l’organizzazione criminale che l’imprenditore hanno tratto vantaggi indiscutibili”.

Sarebbe infatti stata documentata, attraverso la viva voce dell’imprenditore intercettato mentre raccontava ai suoi congiunti ed al suo commercialista vari episodi del passato, come i primi rapporti dello stesso con l’allora capocosca e latitante Giuseppe Piromalli (94 anni) sarebbero iniziati a metà degli anni ’80, quando Annunziata, da poco abbandonato il commercio ambulante di abbigliamento nei mercati rionali, aprì un negozio nel cuore della città di Gioia Tauro. Sono quelli gli anni in cui si verificavano i primi attentati che costrinsero l’imprenditore ad allontanarsi dalla zona e farvi rientro “solo dopo aver chiesto personalmente il consenso al capocosca, durante la celebrazione di uno dei tanti processi che vedevano alla sbarra il Piromalli”, sostengono ancora gli inquirenti spiegando che da quel momento “ottenuto il placet, Annunziata inizia la sua scalata imprenditoriale, che lo ha visto in poco tempo divenire unico proprietario di un vero e proprio impero con la creazione del più grande centro commerciale della Calabria e tra i primi del Sud Italia”.

Il rapporto tra l’imprenditore e la cosca avrebbe portato dunque dei vantaggi ad entrambe le parti: “da un canto – proseguono gli inquirenti - Annunziata poteva lavorare in un regime sostanzialmente di monopolio, senza alcun tipo di problema ‘ambientale’, anzi – fove necessario – ottenendo anche trattamenti di favore da parte della P.A. (pubblica amministrazione, ndr.) presso cui intervenivano pressioni da parte della cosca; quest’ultima, poi, poteva arricchirsi e svilupparsi nel settore imprenditoriale, cosa che altrimenti – considerata la normativa antimafia – le sarebbe stata assolutamente preclusa”.

Dalle indagini emergerebbe che, in questa veste, l’imprenditore gioiese, leader commerciale dell’abbigliamento nella Piana, sarebbe stato addirittura interpellato da chiunque avesse voluto intraprendere un’attività economica nel centro commerciale, non tanto per discutere di vincoli contrattuali o commerciali “ma – sostengono ancora gli investigatori - per avere dallo stesso rassicurazioni sulla tranquillità ambientale, garantendo il suo fattivo contributo quale referente della ‘ndrangheta locale”.

In particolare, dalle investigazioni emergerebbe che già il primo terreno sul quale è stato costruito l’originario capannone del Centro Commerciale, sarebbe stato in realtà acquistato nel 1993 dall’allora capocosca Giuseppe Piromalli (70 anni), ma intestato all’imprenditore gioiese, e che la costruzione dei capannoni realizzati nel tempo - e tutt’ora in fase di ampliamento – sarebbe stato appannaggio di imprese legate o autorizzate dalla cosca.


LA COSTRUZIONE DEL CENTRO COMMERCIALE E L’OMICIDIO DI ROCCO MOLÈ

Altro particolare emerso nel corso dell’inchiesta quello riferito alle motivazioni dell’omicidio di Rocco Molè, avvenuto nel febbraio del 2008, uccisione che avrebbe fatto da spartiacque nei rapporti tra le due cosche e alla cui base vi sarebbero stati anche contrasti per accaparrarsi la costruzione dei capannoni della struttura commerciale.

Per la Direzione Distrettuale Antimafia reggina Annunziata non avrebbe avuto alcuna voce in capitolo in questo affare, non potendo decidere neanche la ditta a cui affidare i lavori, decisione che sarebbe stata appannaggio esclusivo della malavita locale “non per mera e semplice imposizione mafiosa, ma – affermano gli inquirenti - nella piena compartecipazione alle scelte strategiche della cosca Piromalli, attesa la consapevolezza che tale progetto imprenditoriale fosse una loro creatura”. Questo dato sarebbe dimostrato da quanto si è potuto accertare sulla disponibilità di numerosi appezzamenti di terreno nella zona circostante il centro ed adiacente lo svincolo autostradale di Gioia Tauro.


IL COMMERCIO PARALLELO DI CAPI D’ABBIGLIAMENTO

Nel corso delle investigazioni sarebbe stato poi documentata l’esistenza di una parallela e fiorente attività criminosa, finalizzata alla vendita di articoli di abbigliamento ed accessori che recavo marchi o segni distintivi contraffatti, oltre che in taluni casi la consumazione del reato di frode nell’esercizio del commercio in particolare quello della “vendita di prodotti industriali con segni mendaci”.

Si tratterebbe di una pluralità indeterminata di condotte delittuose che ruoterebbero, in sostanza, attorno a due compagini associative, che solo apparentemente e formalmente erano distinte tra loro, ma che sarebbero state concretamente considerate operanti in connessione e stretta sinergia tra di loro non fosse altro per la stessa tipologia di merce commercializzata, l’identico contesto territoriale in cui operavano e l’esistenza di reciproci e strettissimi rapporti di parentela oltre che le cointeressenze economiche, tra i soggetti coinvolti.

La prima compagine avrebbe fatto capo ad Alfonso Annunziata operando nell’ambito delle attività commerciali della società “Annunziata Srl” e della omonima ditta individuale e, secondo la tessi degli inquirenti, costituirebbe un sodalizio criminoso annoverando tra i partecipi oltre ad Annunziata anche il fratello Fioravante, la moglie Domenica Epifanio, le figlie Valeria, Rosa Anna e Marzia, e Carmelo Ambesi.

Al vertice dell’altra associazione vi sarebbe stato invece Claudio Pontoriero (genero di Alfonso Annunziata e marito della figlia di quest’ultimo, Rosa Anna). La stessa si sarebbe occupata degli interessi economici della società “Maipon Line Snc di Pontoriero Claudio &C.”, che aveva un punto vendita anch’essa all’interno del Parco commerciale. Tra i partecipanti al sodalizio gli investigatori ritengono vi siano stati la moglie di Pontorieri, Rosa Anna Annunziata, Roberta Bravetti (con il ruolo di promotrice ed organizzatrice), Andrea Bravetti e Andrea Fanì.