Monica Guerritore incanta il pubblico di un Teatro Cilea pieno
Una Monica Guerritore luminosa dentro il buio di una scena essenziale: questa è la prima immagine per il pubblico di un Teatro Francesco Cilea gremito e vibrante. “Dall’Inferno all’Infinito” è stato un viaggio puro, incontaminato, la strada che l’artista non solo ha percorso ma ha creato: come in un turbine emozionale, ha marcato i suoi passi come una guida che ha saputo riconoscere un percorso fatto di letteratura, parole, sensazioni, suoni.
Nello spettacolo conclusivo del Festival Miti Contemporanei, la Guerritore ha proposto un finale così suggestivo e coinvolgente che i tantissimi spettatori del Teatro Comunale di Reggio Calabria (ma arrivati da tutta la Calabria e anche dalla Sicilia) difficilmente lasceranno andare. La scelta di classici della letteratura apparentemente incompatibili, sommata ad analisi di studiosi della psiche, nasce dalla lettura di Re-visione della psicologia di James Hillman: “Un viaggio libero che poteva perfettamente muoversi verso altre parti. D’altronde se si precipita dentro uno spazio ʽaltroʼ nascono naturalmente esiti che danno corso a una moltitudine di parole, di vibrazioni, di suoni o anche evocazioni. Questo è il mio spettacolo”.
La Guerritore mantiene le promesse e avvia la sua performance da una discesa agli inferi descritta da Dante Alighieri ma facendo luce su nuove attinenze e affinità che lei sola ha saputo liberare: in quel nero narrato si fanno strada archetipi atemporali che aiutano a comprendere il grande potere selvaggio dell’anima. Emergono le figure genitoriali attraverso il padre che divora i figli con la ferocia disperata recitata nel XXXIII canto del conte Ugolino, o nella lettura di “Supplica a mia madre” di Pier Paolo Pasolini.
Momenti altissimi che danno merito a un’investigazione sui processi di condizionamento che si ripetono nei secoli: “A me non importa che Ugolino sia vissuto sul serio, che storicamente sia stato rinchiuso in una torre con i figli e li abbia sbranati per fame” dichiara la Guerritore riferendosi a un modello riconosciuto e ben identificato di struttura paterna che divora metaforicamente la prole. Ciò che sul palcoscenico conta, unendosi con la figura castrante di una madre dipinta da Pasolini come (...) “insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data”, è il problema primordiale di “ritrovarsi sempre di fronte - per tutta la vita - queste figure come Fiere giudicanti”.
L’artista non trascura nemmeno i riferimenti alle affettività con le ferite d’amore, interpretando una suggestiva Francesca del V canto dell’Inferno e fondendo anche le cicatrici che Gustave Flaubert in Madame Bovary era riuscito a descrivere con artificio. “Perché le cicatrici - afferma la Guerritore - riescono a fare diventare i percorsi del cuore obbligati; e chi ha sanguinato una volta sanguinerà sempre, chi ha sofferto una volta sempre soffrirà”. Ma il dolore che narra non è mai vuoto o fine a se stesso: è la ricerca che a lei interessa , indagando attraverso i brani di Paul Valery, Victor Hugo, Cesare Pavese, dentro quel nutrimento ricco di significato per la spiritualità dell’individuo. Che l’artista di origini calabresi riconosce, ripulisce dalle schegge del patimento e offre al suo pubblico immerso in un silenzio rapito e incantato grazie all’esperienza di Giacomo Leopardi e “L’Infinito” che, attraverso la voce, i gesti e i suoni, porta il pubblico verso la via d’uscita obbligata e ambita del suo “naufragar” dolce.
Così Monica Guerritore permetterà a se stessa - rapita da una ispirazione altissima - e agli spettatori che seguono ogni più piccola orma dei suoi passi, di uscire dal buio “a riveder le stelle” con l'ultimo verso dell'Inferno. E se non questo non basta a distaccarsi dal nero, la Guerritore sa che la salvezza dimora sempre lì, in quella contaminazione di arti che ha messo in scena grazie alle musiche superbamente scelte e ad Apollinaire che racconta, infine, come per riuscire a volare più che la forza di volontà, spesso serve una spinta: “Li spingemmo oltre il bordo. E volarono.”
L’artista, a fine spettacolo, chiama sul palco lo staff del Festival Miti Contemporanei: “Sono loro i veri artefici di tutto questo” dice sorridente di fronte a un pubblico che non smette di acclamarla. E le sue origini calabresi che, come dichiara spesso, nella vita le hanno regalato forza e determinazione nei momenti più duri, si sciolgono in una dedica sentita alla madre: “Lei, che è mancata da poco tempo, sarebbe stata davvero felice di vedervi qua stasera”. E come un’antidiva dopo lo spettacolo si ferma col suo pubblico, mettendo da parte tutti i segni della stanchezza; per donare ancora sorrisi, baci, abbracci, parole e frammenti di incanto a tutti coloro che fanno fatica a lasciare andare via dal cuore tutta quella speciale e poetica bellezza che Monica Guerritore ha consegnato.