Identikit dell’imprenditore calabrese: ultimi per ricerca, poco internet e “meglio da soli”

Cosenza Attualità

La maggior parte degli imprenditori possiede un livello di istruzione medio-alto. Ben 9 soggetti attivi su 10 non fanno parte di alcuna rete di impresa. Significativa la fetta dei giovani capi d’azienda che alimenta il proprio know-how. Ancora poco significativo, invece, l’impiego del web e degli strumenti social per fare impresa.

È quanto emerge dal consueto rapporto annuale BCC Mediocrati-Demoskopika sull’andamento dell’economia locale e che traccia un profilo dell’imprenditore medio, almeno nel cosentino, definendo “giovane, preferibilmente laureato, con una buona conoscenza del settore di attività, predisposto al rischio, decisionista, creativo e consapevole dell’importanza della formazione sua e del personale per ‘stare”’ sul mercato.

un identikit che comincia a segnare il passo del mercato economico locale per uscire dalla crisi, che cerca di fare breccia su un’offerta imprenditoriale attualmente ancorata a strategie tradizionali e poco predisposta ad aggregarsi: “scarsa conoscenza delle lingue, insignificanti investimenti in ricerca e sviluppo, poca voglia di innovare e di fare rete, utilizzo ancora insufficiente di internet per penetrare nuovi mercati”, spiega il rapporto di Demoskopica.

“L’ISTRUZIONE PORTA A RISULTATI MIGLIORI”

Sul versante del clima di fiducia, intanto, migliora il sentiment degli imprenditori per il prossimo anno. “Molte indagini sul fenomeno imprenditoriale – dichiara il presidente dell’istituto bancario, Nicola Paldino - hanno evidenziato come il livello di istruzione e formazione degli imprenditori rappresenti una variabile rilevante, con effetti significativi sui risultati conseguiti dalle imprese stesse in termini di probabilità di sopravvivenza, crescita del fatturato, dell’occupazione, profittabilità, propensione all’innovazione e valorizzazione del capitale umano. Ciò ovviamente - precisa - non significa che per essere oggi un buon imprenditore sia necessario avere una laurea o un diploma ma che, a parità di esperienza, un … laureato o diplomato raggiunge migliori risultati di uno con un basso livello di istruzione”. In questo scenario l’innalzamento del livello della formazione di tipo formale di chi fa impresa è dunque di per sé un obiettivo auspicabile. “Ancora più importante è che a ciò si aggiunga una maggiore attenzione per la formazione imprenditoriale, a tutti i livelli di istruzione, - conclude Paldino - al fine di potenziare sia le attitudini che le competenze legate all’imprenditorialità”.

“L’importanza di puntare su un capitale umano di livello, - commenta a sua volta il direttore di Demoskopika, Nino Floro - muove dalla consapevolezza che un bagaglio di conoscenze inadeguato produce effetti distorsivi, intrappolando in un circuito vizioso i soggetti le cui decisioni hanno un peso elevato nel governare e orientare i processi di allocazione delle risorse aziendali. I potenziali effetti distorsivi e il costo di decisioni inadeguate aumentano, infatti, con la quantità di risorse governate dal decisore”.

“Ridotti livelli di qualificazione di chi ha responsabilità di governo dell’impresa - chiosa Floro - si traducono, inevitabilmente, in un basso profilo della domanda di capitale umano e di conoscenza, che a sua volta genera ridotti rendimenti dell’istruzione e, quindi, minori incentivi ad investire nello stesso capitale umano”.

L’IMPRENDITORE? TEMERARIO, DECISIONISTA E CREATIVO

La top three di chi imprende: temerario, decisionista e creativo. Per comprendere le principali caratteristiche presenti negli imprenditori locali, agli intervistati è stato chiesto di individuare quale tratto personale dovrebbe possedere, a loro giudizio, un imprenditore tra una lista di 10 personal traits ritenuti più comuni dagli studiosi. In testa con lo stesso grado di importanza è stata indicata la propensione al rischio (con il 45,5%,) e la capacità decisionale (43,3%), seguiti non molto distante dalla creatività, qualità questa indicata da oltre un terzo del campione, il 36,6%.

L’indicazione di quest’ultima come uno dei principali tratti personali è significativa, considerando che gli intervistati operano in settori tradizionali e che essa è solitamente riconosciuta una tipica caratteristica degli imprenditori italiani che consente di bilanciare, almeno in parte, altre carenze comportamentali degli stessi. Meno significative le indicazioni riguardanti la predisposizione al cambiamento (29,8%) e i rapporti umani (28,9%) e l’autodeterminazione (27,5%).

COMPETENZE: CONOSCENZA DEL SETTORE PRIORITARIA PER IL 79,5%

Ben 8 soggetti intervistati su 10 scelgono la profonda conoscenza del settore in cui operano quale competenza prioritaria da possedere. Il risultato si può definire come aderente alle attese poiché, gli imprenditori locali, operano principalmente in settori tradizionali e in mercati poco dinamici; di contro sembrano avere meno competenze manageriali (23,6%), di marketing (16,2%) o ancora attitudini nel lavorare in team (19,7%), conoscenze tecniche e tecnologiche (15,6%) e di misurazione del rischio (15%). Infine, i soggetti intervistati dichiarano di essere ancora meno preparati nel campo dell’information technology (6,4%), e in materia di finanza (9,1%) oltre che non possedere grandi capacità analitiche (8%) e attitudini nella risoluzione dei conflitti (9,3%).

PREVALGONO I “CAPI D’AZIENDA” CON ISTRUZIONE MEDIO-ALTA

Oltre l’80% degli imprenditori cosentini presenta un livello di istruzione medio-alto, di questi la maggioranza, il 52,9%, ha conseguito un diploma di scuola media superiore e il 28,7% possiede un titolo universitario, (laurea breve 4,5%, laurea magistrale 23,1%, specializzazione post laurea, dottorato, master 1,3%), gli imprenditori con un basso livello di istruzione, con licenza elementare (5,8%) o di media inferiore (12,6%) rappresentano la quota minore, il 18,4%.

LE GIOVANI LEVE PIÙ “SENSIBILI” A MIGLIORARE IL PROPRIO KNOW-HOW.

Dall’indagine è emerso che oltre ad un medio-alto tasso di scolarità, una percentuale non trascurabile di imprenditori cosentini presenta anche un’elevata propensione allo studio e alla formazione riconoscendo che una preparazione adeguata costituisce un presupposto essenziale per mantenere elevati i livelli di competitività aziendale. Oltre il 30% del campione ha dichiarato di aver svolto negli ultimi tre anni, attività formative manageriali, di gestione e amministrazione di impresa, fra questi la maggiore parte, il 18,9%, ha partecipato a più di un evento formativo, il 12,4% soltanto ad uno. Da rilevare tuttavia, sul fronte opposto, che il numero più consistente degli imprenditori intervistati, il 68,7%, non ha svolto alcuna attività formativa diretta ad accrescere le proprie competenze e conoscenze in materia di gestione d’impresa.

Ad evidenziare una maggiore attenzione per la formazione imprenditoriale e per la propensione all’ampliamento del proprio bagaglio di conoscenze e competenze in materia di gestione e amministrazione di impresa sono principalmente gli imprenditori più giovani (43,8%) rispetto ai più anziani (19,8%) e i soggetti in possesso di un più elevato livello di istruzione (il 46,7% vs il 14,3% del livello basso).

FORMAZIONE LINGUISTICA: NON PASSA LA “STRANIERA”

Per l’84,8% degli imprenditori, la conoscenza di un lingua diversa da quella natale, è cosa assai rara: il 42,4% non ha alcun tipo di conoscenza linguistica, una percentuale analoga, ha una competenza prevalentemente scolastica di una o più lingua straniera; solo il 13,1% dichiara un buon livello parlato e scritto di almeno una, e appena il 2,1% ha la padronanza di più di un idioma. In coerenza alle attese, maggiori competenze linguistiche si riscontrano tra le classi di età più giovani e fra quanti hanno un più alto livello di istruzione (laurea e diploma), mentre sia a livello settoriale che di area il dato appare più omogeneo non rilevandosi differenze degne di nota.

PERSONALE: QUALIFICAZIONE IN OLTRE UN TERZO DELLE IMPRESE

Qual è il livello di importanza della formazione del personale per gli imprenditori? Ben il 35,8% ha svolto attività formative negli ultimi tre anni, mentre la gran parte del campione, non ne ha svolto alcuna (64,2%). Ad investire maggiormente sulla qualificazione del personale sono i soggetti con un più elevato livello di istruzione (il 48,6% contro il 20% dei soggetti con livello basso) e quelli operanti nel settore edile (53,1%), seguiti dagli imprenditori dei servizi (44,4%) e dell’agricoltura (40,3%), mentre una minore propensione viene manifestata dalle aziende industriali (29%) e commerciali (21%). Il 42,8%, in particolare, ha svolto attività formative riguardanti la cultura e la gestione d’impresa, dunque materie come il management, il marketing e la comunicazione.

RICERCA E SVILUPPO: CALABRIA FANALINO DI CODA

Le imprese italiane mostrano una modesta propensione all’investimento in ricerca e sviluppo (lo 0,7 per cento del Pil a fronte di una media Ue pari all’1,3 per cento). Un quadro poco confortante con la Calabria fanalino di coda. La gran parte della spesa per ricerca e sviluppo è concentrata nel nord del Paese (il 60,6% della spesa totale). In rapporto ai Pil regionali, le performance migliori sono quelle del Piemonte (1,94%), del Lazio (1,73%), in cui è dominante la quota di spesa investita dal settore pubblico e dalle università, e della provincia autonoma di Trento (1,71%).

Rispetto all’intensità sul Pil della spesa del settore privato in R&S (escludendo l’attività del settore non profit), Piemonte (1,51%), Emilia-Romagna (1,09%) e Lombardia (0,94%) si collocano ai primi 3 posti.

Al Sud invece sono le imprese campane (0,54% del Pil) ad investire maggiormente in attività di R&S. Le imprese della Calabria, al contrario, sono quelle che investono meno rispetto al Pil prodotto (0,01%).

Dai dati dell’indagine, inoltre, emerge che negli ultimi cinque anni il 24,3% delle imprese ha realizzato almeno un’innovazione al proprio interno. tendenzialmente il livello di propensione all’innovazione risulta più elevato tra le imprese capitanate da imprenditori più giovani (27,7%) e con più elevati livelli di istruzione (32,3% del livello alto contro il 14,3% del livello basso), mentre secondo la classe dimensionale livelli maggiori si riscontrano tra le imprese più grandi e con un maggior numero di addetti (il 37,1% delle aziende piccole-medie a fronte del 12,1% della imprese senza addetti). Si conferma ancora una volta il dato dell’influenza positiva del livello di istruzione sulle performance dell’impresa, in questo caso sulla propensione all’innovazione che come appena rilevato è di gran maggiore tra gli imprenditori più acculturati e con titolo di studio più elevati.

COMUNICAZIONE: UNA IMPRESA SU DUE NON HA ANCORA UN SITO

Esistono ancora ampi margini di miglioramento per le attività di comunicazione on-line. Oltre la metà delle imprese intervistate, infatti, ben il 53,6% per l’esattezza, dichiara di non possedere ancora un sito internet.

Sorprende che non esistano grandi differenze tra imprenditori giovani e imprenditori meno giovani, mentre in linea con le attese, ad avere un sito internet sono in misura maggiore gli imprenditori con un più alto livello di istruzione (il 50,5% del livello alto contro il 31,4% del livello basso) e le imprese più grandi con un più elevato numero di addetti (il 64,9% delle aziende medio-piccole a fronte del 47,8% delle micro-aziende e del 30% delle aziende senza dipendenti). Va peggio per gli strumenti social utilizzati, come canale di comunicazione commerciale ed istituzionale, soltanto dal 33,3% del campione. Il social network più utilizzato è indubbiamente facebook (99,1%), meno utilizzati gli altri social: twitter (24%), linkedln (19,8%) e ancora più ridotte le percentuali di preferenza per myspace (9,3%) e google plus (3,6%).

ASSOCIAZIONISMO: “MEGLIO SOLO CHE…”

Non si può di certo affermare che tra le aziende vi sia una spiccata vocazione all’associazionismo. Poco meno del 90%, non fa parte o ha aderito ad alcuna forma di aggregazione, contro il 10,8% che, invece, risulta associata. Fra quest’ultime, in particolare, il 6,7% fa parte di strutture consortili e il 2,3% a sistemi distrettuali, molto ridotta e scarsamente rilevanti le percentuali di imprese associate in ATI (1,8%) o che hanno aderito a contratti di rete (1,2%). A livello settoriale spicca il dato delle imprese agricole con la più elevata percentuale di imprese associate (22,8%) principalmente in strutture consortili (15,8%) mentre rispetto alle altre variabili indagate non si rilevano differenze degne di nota.

LA FIDUCIA: MIGLIORANO LE ASPETTATIVE PER IL 2016

Nel 2015 prosegue il miglioramento dell’indice di fiducia generale che dopo il notevole incremento del 2014 (+21,1 punti) guadagna ancora 17,5 punti passando dal 62 al 79,5, il miglior risultato registrato dall’indicatore nei sette anni di rilevazione. Esso inverte la sua tendenza dopo un triennio di forte peggioramento che ha visto toccare nel 2013 il suo punto di minimo storico (40,9).

Secondo le previsioni formulate dagli operatori economici locali, dunque, la crisi economica, pur continuando anche per il prossimo anno, sarà meno intensa dell’anno precedente cedendo gradualmente il passo ad una inversione di tendenza segnata da piccoli segnali di miglioramento.

Entrando nel dettaglio, infatti, i singoli indicatori, pur se con diversa intensità segnano tutti una andamento positivo: investimenti (+23,6 punti), disponibilità di credito dimostrata dal sistema creditizio (+16,1 punti), occupazione (17,4 punti), fatturato e liquidità (+14,9 punti). Segnali di ripresa, infine, si registrano anche rispetto ai principali fattori del contesto macroeconomico anche se continuano a rappresentare gli aspetti più critici: le aspettative sull’andamento dell’economia regionale che, dopo i consistenti cali del biennio precedente, registrano un miglioramento di 23,4 punti e l’indice di fiducia sulla situazione del settore nel 2015 (+13,1 punti).