Lettere in redazione. “Chi usa più antibiotici forse ha più malati”

Catanzaro Salute

Riceviamo e pubblichiamo

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Si dà il caso, sig.ra Gabanelli (conduttrice della trasmissione Report, su RaiTre, ndr.) che nel sud Italia e in particolare in Calabria nonostante “il bel clima”, come lei ha affermato nella sua puntata di Report del 29 maggio scorso sull’antibiotico resistenza, di bronchitici ve ne sono molte di più della media italiana. La causa di questa maggiore numerosità di bronchitici è che nel sud ci sono molti più fumatori che non nel resto d’Italia e anche cittadini sedentari, in sovrappeso e obesi.

È ovvio che lei non è tenuta a sapere di questi dati e si può permettere dispensare e dire che nel sud dove c’è il bel clima ci dovrebbero essere meno bronchitici e quindi minore uso di antibiotici e non di più come effettivamente avviene. Ma se a lei è concesso di non sapere o non tenere conto della numerosità (prevalenza) delle patologie quando si fanno statistiche e paragoni sulla spesa sanitaria, non lo è per la ministra della Salute, per la conferenza stato regioni, per l’Osmed, per l’Agenas, per le Regioni e per i commissari mandati dal Governo a ripianare i deficit sanitari di alcune regioni. A loro non dovrebbe essere concesso perché, a furia di non tener conto della numerosità delle patologie nelle varie regioni, stanno causando immensi danni alla salute delle popolazioni meridionali.

Il fatto è questo: nelle regioni meridionali ci sono molti più malati di bronchite ma ve ne sono molti di più che non nel resto d’Italia delle patologie più diffuse e ad alta spesa sanitaria: diabete mellito, Ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica, ipertrofia prostatica, patologie acido correlate, osteoartrosi, ictus, etc., nel sud ci sono invece meno tumori, asma, depressione e demenza.

Ad esempio la regione Calabria, per come certificato nel decreto 103 del 30 settembre 2015 firmato dal commissario ad acta dott. Scura che, alla pag. 33 dell’allegato n. 1 “Salute Calabria” recepito dalla conferenza stato regione (leggi Ministero della Salute) recita “Si sottolineano valori di prevalenza più elevati (almeno del 10%) rispetto al resto del Paese per diverse patologie” (Abbiamo fatto i calcoli e non è il 10% ma il 14.5% che corrisponde a ben 287 mila malati cronici in più). Quindi il Ministero della Salute, la conferenza stato regioni, la regione Calabria, il commissario ad acta Scura sanno che in Calabria ci sono molti più malati cronici delle patologie più diffuse e quindi a più alta spesa sanitaria.

Si immagina quindi che nel riparto dei fondi sanitari alla regione Calabria sia destinata una quota maggiore di finanziamenti. E invece no, è l’esatto contrario perché il riparto dei fondi sanitari viene fatto con il criterio del calcolo della popolazione pesata che penalizza le regioni come la Calabria che ricevono meno fondi in quanto hanno ancora una maggiore percentuale di giovani nella loro popolazione. Ultimamente i fondi sono ripartiti anche in base ai costi standard ma anche questo criterio penalizza la Calabria.

L’esempio della Calabria vale un po’ per tutto il Mezzogiorno. Quindi nel sud a fronte di una maggiore numerosità di malattie abbiamo un finanziamento ridotto e questo stato di cose dura fin dal 1999. È questo il “peccato originale” della gestione della sanità, perché a curare i molti malati cronici in più si deve spendere di più ma il governo e la conferenza Stato Regioni, in base ad un calcolo puramente economico, ha deciso che la Calabria, come la maggior parte delle regioni del sud sono “spendaccione” e per questo hanno imposto i piani sanitari di rientro e in alcuni casi anche i commissari che hanno avuto il semplice compito di risparmiare sui già ridotti fondi ripartiti.

La cosa grave è che sono riusciti a risparmiare sui soldi già insufficienti con il risultato di un abbassamento dei LEA nelle regioni del sud e specialmente in Calabria, dove 4 anni di commissariamento hanno prodotto il risultato più deludente di applicazione dei LEA stessi. Il malato cronico che non si cura si complica e deve essere curato solo nei centri di eccellenza del nord Italia con l’aumento delle spesa sanitaria fuori regione (la Calabria ogni anno spende per questa voce ben 300 milioni di euro), ciò aggrava il deficit con conseguenti ulteriori restrizioni dei piani di rientro.

Che fare? Bisogna ripartire i fondi non in base alla popolazione pesata ma in base alla prevalenza delle patologie e rimuovere da subito i piani di rientro e i commissari, specialmente in Calabria, che tanto danno stanno causando alla salute delle popolazioni meridionali. Poi da chi sfora di commissari se ne possono mandare non uno ma dieci.

La seconda osservazione da fare è sugli informatori scientifici che lei ha rappresentato come gli induttori della iper prescrizione inappropriata degli antibiotici e ha rappresentato come virtuosa la dottoressa olandese perché non ha mai ricevuto gli informatori scientifici. Alla dottoressa avrebbe dovuto chiedere con quale modalità fa il suo aggiornamento scientifico visto che non riceve gli informatori scientifici. Probabilmente a questa domanda avrebbe risposto che il suo aggiornamento lo fa nell’ambito della sanità pubblica. Se la dottoressa olandese avesse risposto così a questa domanda dovremmo andare in Olanda e imparare come si fa l’aggiornamento continuo in medicina perché in Italia o meglio in Calabria di aggiornamento scientifico in ambito pubblico se ne fa una cifra vicino allo zero.

In Italia quanto aggiornamento fare, dove farlo, come farlo e quanto di questo deve essere fatto in ambito pubblico (Regioni e aziende sanitarie) è previsto per legge e quindi è obbligatorio. È di questi giorni la notizia che solo la metà dei medici raggiunge le 150 ore di aggiornamento previsto per il triennio 2014-2016. La ministra Lorenzin si è subito sbilanciata affermando che vuole scovare i medici inadempienti ed esporli al pubblico ludibrio. Ma come si fa a raggiungere le 150 ore di aggiornamento se le istituzioni pubbliche (regioni, aziende sanitarie) organizzano pochissime ore di educazione continua in medicina (ECM)? La signora ministra dovrebbe impegnarsi a “scovare” non i medici inadempienti ma le regioni e le aziende sanitarie che non organizzano l’aggiornamento e sollecitare l’Agenas e la conferenza Stato-Regioni che non coordinano e non controllano.

Io ad esempio ho raggiunto le 150 ore ma sono sempre “fuorilegge” perché la quasi totalità delle ore di aggiornamento l’ho dovuta fare, vista l’inesistenza di corsi in ambito pubblico, con i corsi delle vituperate case farmaceutiche organizzate dagli informatori scientifici. E questi ultimi non sono il grande male della sanità, ma sono i malati della sanità odierna. Sono una categoria di lavoratori che svolge il proprio lavoro con “scienza e coscienza” nonostante siano sfruttati e ultimamente decimati con decine di migliaia di licenziamenti in violazione delle più elementari regole dei diritti dei lavoratori.

Per fare un confronto, qualche anno fa per poche migliaia di esuberi dell’Alitalia tutti gli italiani siamo stati costretti ad accollarci qualche miliardo di tasse, mentre difronte al licenziamento, fatto in modo brutale, di almeno tre volte tanto di informatori scientifici non si è mossa alcuna voce, neanche la sua signora Gabanelli. Gli informatori sono “cornuti e mazziati” mentre il vero male è che le Regioni e le ASP pubbliche non fanno nessun aggiornamento pur essendo questo obbligatorio per legge. Gli informatori scientifici si sostituiscono e fanno semplicemente supplenza alla totale assenza dell’informazione scientifica in ambito pubblico. Poi tra gli informatori scientifici come in ogni altra categoria di lavoratori ci sono anche dei delinquenti. Io, però, non ne ho mai incontrato uno.

Giacinto Nanci, medico di famiglia a Catanzaro

(costretto ad essere inadempiente dalle istituzioni pubbliche per i crediti ECM anche se ha superato il monte ore previsto dalla legge).


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