Dall’associazione Analassilaos un omaggio al poeta Belli
L’Associazione Culturale Anassilaos ha avviato nel 2016 – su proposta della Prof.ssa Francesca Neri e della responsabile Sezione Poesia “Gilda Trisolini” del Sodalizio Pina De Felice - un progetto ambizioso, che si avvale per le letture degli amici e poeti del Lunedì di Anassilaos, volto a studiare e valorizzare la poesia in lingua non nazionale, una espressione questa di gran lunga più storicamente e criticamente fondata rispetto a quelle di poesia dialettale o poesia in vernacolo perché rende ragione – almeno per quanto riguarda gli autori più significativi – del ruolo da essi ricoperto nel contesto sociale, culturale e artistico di una città o di una regione che hanno prodotto una letteratura di grande valore pur espressa in un idioma non nazionale.
Il progetto ha preso avvio con una analisi della poesia del siciliano – meglio palermitano - Giovanni Meli (Palermo, 6 marzo 1740 – Palermo, 20 dicembre 1815) ed è proseguito con il milanese Carlo Porta (Milano, 15 giugno 1775 – Milano, 5 gennaio 1821).
Se il primo risente ancora di talune maniere arcadiche e classiciste con il secondo ci troviamo nel pieno del Romanticismo lombardo. Il terzo di questa ideale triade di grandi poeti in lingua non nazionale, che ha un suo corrispettivo nella triade formata da Foscolo, Manzoni e Leopardi – è senza dubbio il romano Giuseppe Gioacchino Belli (Roma, 7 settembre 1791 – Roma, 21 dicembre 1863) al quale è interamente dedicato l’incontro che si terrà martedì 10 gennaio alle ore 17,30 presso la Sala di San Giorgio al Corso.
“Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma. In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l’indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tuttociò insomma che la riguarda, ritiene una impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo.”
Così scriveva Giuseppe Gioacchino Belli nella prefazione ai suoi sonetti romaneschi che furono pubblicati nel 1865, dopo la morte del poeta, avvenuta nel 1863, dal figlio Ciro, che li edulcorò in parte per evitare il veto della censura pontificia più guardinga che mai. Si viveva infatti negli ultimi convulsi anni del potere temporale di Pio IX che sarebbe stato travolto il 20 settembre 1870 dalla Breccia di Porta Pia.
D’altra parte durante la vita del Belli soltanto pochi sonetti erano conosciuti nella cerchia più intima di amici del poeta sia per una sua deliberata scelta che per il timore delle autorità. Questo spiega l’estrema solitudine culturale in cui maturò l’esperienza poetica di uno dei più grandi poeti – insieme al milanese Carlo Porta – in lingua non nazionale dell’Italia dell’Ottocento.
Se il Porta, che il Belli apprezzò sempre, visse ed operò comunque in un ambiente culturale aperto come la Milano dell’Illuminismo e del primo Romanticismo, l’esperienza umana e artistica di Belli si svolse in un contesto regredito quale era la Roma di Pio VIII, Gregorio XVI e Pio IX che viveva le ultime convulse fasi di un potere millenario tra congiure, rivolte e conseguenti cruente repressioni.
Questo, insieme ad elementi caratteriali e alle difficoltà economiche che sempre travagliarono l’artista, spiegano – se non giustificano - in parte quella sorta di schizofrenia che sembra caratterizzare l’esistenza del Belli uomo e poeta, tra i fondatori e poi presidente dell’Accademia Tiberina nel 1850; poeta in lingua e autore di un canzoniere amoroso dedicato a una nobile signorina marchigiana, la marchesa Roberti; impiegato del governo pontificio, al quale prestò il suo giuramento di fedeltà, e nello stesso tempo autore quasi “segreto”, dal 1830 al 1849, di ben 2279 sonetti nei quali, insieme alla vita della plebe di Roma, metteva alla berlina quello stesso governo dei preti in cui la fede si riduceva alla vuota esteriorità delle cerimonie religiose e la vicinanza con il sacro diveniva talora blasfemia.
Egli fu così angosciato dagli eventi del 1848-1849 che investirono Roma (la fuga di Pio IX a Gaeta, la Repubblica Romana, il ritorno del Pontefice con l’aiuto delle baionette francesi) che subito dopo la restaurazione del potere pontificio si adoperò nel ruolo di censore teatrale del Governatore di Roma – in tale veste condannò i melodrammi di Rossini e Verdi, le tragedie di Shakespeare – e si trasformò in poeta accademico e religioso pubblicando gli Inni ecclesiastici secondo l’ordine del Breviario romano. Giunse addirittura a negare la sua opera in romanesco chiedendo all’amico Mons. Tizzani di distruggerla alla sua morte.
Nonostante tale “doppiezza” dovuta alle circostanze e al suo carattere, i limiti umani dell’uomo Belli vissuto in un epoca di stravolgimenti politici ed ideali che non riusciva a comprendere, i suoi sonetti in romanesco costituiscono un capolavoro assoluto della poesia dell’Ottocento e una delle vette del Romanticismo italiano che già sembra volgere al realismo. La prossima tappa del Progetto toccherà una lingua e una cultura complessa che ha prodotto poesia, teatro, musica e cinema. Una lingua che con le canzoni di un Pino Daniele e i drammi di Eduardo De Filippo si è proiettata fino al nostro presente. Parliamo ovviamente di Napoli e della sua grandissima tradizione.