Assolto l’ex presidente dell’Autorità portuale di Gioia Tauro
Assoluzione con formula piena, perché il fatto non sussiste. È chiara la posizione di Giovanni Grimaldi, ex presidente dell’Autorità portuale di Gioia Tauro, nell’annosa vicenda che lo ha visto coinvolto nel giudizio intentato dal Gruppo Zen, costruttore di imbarcazioni nell’area portuale e difeso dall’avvocato Giacomo Saccomanno, che avrebbe voluto imputare all’allora presidente Grimaldi la responsabilità del proprio mancato sviluppo aziendale.
Con la motivazione della Corte d’Appello di Reggio Calabria viene ribadita l’insussistenza della tesi accusatoria. Si chiude, così, un brutto capitolo che ha visto coinvolto Grimaldi come rappresentante legale dell’Autorità gioiese. E cade, quindi, totalmente la tesi accusatoria secondo l’ex presidente avrebbe (in violazione all’art. 328, comma 2 del Codice penale) ritardato l’adozione di determinazioni richieste nell’istanza presentata dalla Zen Marine per ottenere la concessione di uno specchio d’acqua nel bacino portuale.
Il Collegio della Prima Sezione Penale della Corte d’Appello del capoluogo, presieduto dal giudice Massimo Gullino, con a latere i giudici Tommasina Cotroneo e Cinzia Barillà, ha definito in modo pieno e chiaro la vicenda. Si giunge, così, alla piena assoluzione dell’ingegnere Grimaldi, difeso dall’avv. Antonio Feraco del Foro di Cosenza, con il supporto giuridico-amministrativo Giovanna Chilà, legale dell’Autorità portuale di Gioia Tauro, che hanno evidenziato l’inconsistenza dell’accusa sotto il profilo sia amministrativo che in punto di diritto.
Con la motivazione della Corte, che non lascia dubbio all’interpretazione, non c’è stato quindi ritardo e tanto meno omissione di atti d’ufficio alla diffida ad adempiere presentata dalla Zen Marine contro la Pubblica Amministrazione. Grimaldi che, invece, avrebbe dato risposta in modo completo ed esauriente.
Cade, quindi, anche l’accusa che l’avrebbe voluto quale responsabile, collegialmente e personalmente, di un atteggiamento ostruzionistico alla richiesta del Gruppo Zen. L’inconsistenza della tesi accusatoria è stata, così, riaffermata e definita dalla motivazione del giudizio emesso dalla Prima Sezione Penale della Corte d’Appello di Reggio Calabria che si è determinata nell’assoluzione con formula piena.