Non diffamò la memoria di Scarfò, assolto ex assessore di Taurianova
La Corte di Appello di Reggio Calabria, presieduta da Filippo Leonardo con a latere i consiglieri Genovese (relatrice) e Cotroneo, ha assolto, perché il fatto non costituisce reato, Aldo Spanò, difeso da Antonino Napoli, dall’accusa di aver offeso la memoria del defunto Cipriano Scarfò attraverso la pubblicazione, su una pagina di Facebook, delle seguenti frasi: “Ragazzi Scarfò è stato un sabotatore che rubò il rame a Taurianova i più anziani lo dicono apertamente. Ed infatti proprio per questo non ha ricevuto, alla memoria, alcuna medaglia da parte dello Stato. Se fosse stato veramente un martire della violenza nazi-fascista, dal dopoguerra ad oggi avrebbe senza dubbio avuto un riconoscimento ufficiale” e ancora “Chi ruba per fame o meno non può diventare un eroe. Se dovesse passare questo concetto pensa quanti eroi si troverebbe la società nei prossimi anni …”
I magistrati hanno accolto pienamente la tesi difensiva dell’avvocato Napoli secondo il quale le frasi erano inidonee ad integrare il reato di diffamazione contestato a Spanò disattendendo, di contro, quella della Procura e della difesa di parte civile.
In primo grado, il Tribunale di Palmi aveva ritenuto Spanò responsabile di diffamazione e lo aveva condannato alla pena di quattro mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni, quantificati in 10mila euro oltre a 1.700 euro per spese, in favore della parte civile, Benito Scarfò, figlio del defunto Cipriano, difeso dall’avvocato Alfredo Giovinazzo.
L’argomento che ha fatto scattare la contesa riguardava la scelta operata dall’allora amministrazione comunale di Taurianova di intitolare una piazza a Cipriano Scarfò come “martire della violenza nazi-fascista” barbaramente fucilato dai tedeschi, il 25 agosto del 1943, dopo un processo sommario, per avere tagliato i fili del telegrafo della Ventinovesima Divisione “Panzer Grenadier”, accampata nei pressi di contrada Micigallo, nel comune di Taurianova.
Spanò, ex assessore alla cultura del comune ed esponente politico della cittadina, da sempre vicino alle posizioni dell’onorevole Angela Napoli, aveva criticato l’intitolazione della piazza ricordando come fosse un dato notorio alla cittadinanza che Scarfò avesse tagliato la linea del telegrafo, non per l’eroico e “partigiano” fine di sabotare le comunicazioni tra le truppe tedesche, “ma per il meno encomiabile intento di rubare il rame”.
Queste affermazioni avevano fatto infuriare il figlio di Scarfò, Benito, che aveva presentato una denuncia nei confronti del professore taurianovese per diffamazione a mezzo Facebook e si era costituito parte civile nel successivo giudizio penale.
In seguito alla condanna di primo grado, l’avvocato Antonino Napoli ha proposto appello eccependo l’improcedibilità dell’azione penale per tardività della querela proposta e la inutilizzabilità delle stampe e degli screenshot di Facebook utilizzati per provare il fatto contestato. Nel merito ha, poi, censurato la sentenza di primo grado, dimostrando la insussistenza degli addebiti mossi a Spanò e, conseguentemente, l’ingiustizia della condanna.
La difesa, nella sua arringa, dopo le richieste di conferma del Procuratore Generale, Giuseppe Adornato e della parte civile, ha evidenziato come nelle affermazioni del querelato non vi fosse alcun intento diffamatorio nei confronti della memoria di Cipriano Scarfò ma una critica – anche e soprattutto di natura politica – alla scelta operata dall’amministrazione comunale di interpretare il gesto compiuto dallo stesso come una condotta eroica a danno dei soldati nazisti.
“Se può non esserci incertezza alcuna sul fatto storico attribuito allo Scarfò, vale a dire il sabotaggio operato ai danni delle truppe tedesche e la conseguente condanna a morte del medesimo per i fatti descritti - ha evidenziato l’avvocato Antonino Napoli - il giudizio assume una diversa opinabile connotazione nel momento in cui si scrutinano i motivi reali del suddetto danneggiamento.”
In merito è risultata illuminante e chiarificatrice, a giudizio della difesa, la deposizione resa, nel primo grado di giudizio, dal teste Giuseppe Gallo, ora 82enne e che ha vissuto da bambino i fatti descritti ed ha ricordato come, all’epoca, fosse nota la circostanza che Scarfò avesse tagliato i fili del telegrafo per rubarne il rame.
Queste dichiarazioni, pur non essendo di per sé sufficienti a provare la veridicità delle affermazioni di Spanò, dimostrerebbero tuttavia, come la figura di Cipriano fosse già all’epoca “controversa” e che lo stesso “non fosse univocamente considerato dalla cittadinanza alla stregua di un eroe”.
Di contro, ha evidenziato la difesa, la tesi della parte civile si fondava solo su una ricostruzione effettuata dal professor Lentini basata sul ricordo di persone ormai decedute priva, tuttavia, di un riscontro documentale dell’epoca.