Operazione “Recherche”, nuova tornata d’arresti: presi gli uomini di fiducia del boss

Reggio Calabria Cronaca

Sono una ventina gli arresti che la polizia di Reggio Calabria - su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia – ha eseguito stamani nei confronti di altrettante persone che sono considerate di vertice, affiliati e prestanome della potente cosca Pesce di Rosarno.

Le accuse a loro carico sono, a vario titolo, quelle di associazione mafiosa, di favoreggiamento personale nei confronti del boss latitante Marcello Pesce, catturato il primo dicembre scorso, ma anche di traffico e cessione di stupefacenti ed intestazione fittizia di beni.

L’operazione di oggi è la prosecuzione dell’inchiesta Recherche nell’ambito della quale, il 4 aprile, la Squadra Mobile reggina e lo Sco, il Servizio Centrale Operativo, avevano fermato undici presunti affiliati e prestanomi del clan rosarnese, sequestrando anche beni e società - per un valore di circa 10 milioni di euro - attive nel mercato agroalimentare e dei trasporti di merci su gomma per conto terzi.

Questa mattina è così scattata l’operazione denominata “Recherche 2”: per l’esattezza in dodici sono finiti in carcere e sei agli arresti domiciliari, mentre per uno degli indagati è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Si tratta in pratica di otto soggetti in più rispetto agli undici fermati ad aprile e considerati in maggior parte come gli uomini di fiducia del “carismatico” Marcello Pesce: secondo gli inquirenti avrebbero fatto parte della sua rete di protezione e della “filiera comunicativa”.

Grazie a loro il boss latitante sarebbe cioè riuscito ad amministrare le risorse finanziarie incamerate dalla cosca, assegnarle ai membri del clan che erano detenuti così come ai loro familiari, ma anche gestire, praticamente in monopolio, l’attività del trasporto merci su gomma, curare i rapporti con le altre consorterie, intervenendo, a più riprese, per risolvere alcune controversie che erano nate all’interno della cosca o con altre organizzazioni di ‘ndrangheta.

“IL CAPO” E IL MONOPOLIO DEI TRASPORTI

Lo stesso Pesce, nell’ordinanza cautelare, viene indicato come proprio come il capo, il promotore e l’organizzatore dell’omonima cosca con “poteri decisionali e capacità di pianificazione delle azioni delittuose, degli obiettivi, delle attività economiche e di riciclaggio del denaro sporco”.

E per esercitare il pieno controllo del trasporto di merci su gomma, gli investigatori ritengono che il boss sia riuscito a mettere in piedi un sistema di società (la Getral, Le Tre Stagioni e l’Azienda Agricola Rocco Pesce) che sarebbero state a dei prestanome, oggi finiti in arresto.

LA CREDIBILITÀ DEI TRAFFICANTI ROSARNESI

Quanto al traffico di stupefacenti gestito dalla cosca, si sarebbe accertato che erano coinvolti anche soggetti di altre province: di Cosenza e Vibo Valentia ma anche di quella siciliana di Catania. I trafficanti rosarnesi, godendo evidentemente di molta credibilità, avrebbero svolto anche attività di mediazione per l’acquisito di rilevanti quantitativi di marijuana tra alcuni soggetti catanesi e fornitori cosentini. Contestate tre cessioni di marijuana di 38, 67 e 4 kg e, dunque, l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

I NOMI DEGLI ARRESTATI

Delle 20 misure cautelari, 12 sono state emesse nei confronti di persone già fermate (ad eccezione di Antonino Pesce, 25enne, che si era reso irreperibile) nell’ambito dell’Operazione “Recherche 1”.

In carcere sono finiti di Rocco Pesce, nato a Polistena nel 1988; Filippo Scordino, nato a Rosarno nel 1975; Giuseppe Elia Giosafatte, nato a Rosarno nel 1974; Antonio Cimato, nato a Cinquefrondi nel 1984, custodia in carcere; Consolato Salvatore Coppola, nato a Paternò nel 1968; Carmelo Garruzzo, nato a Rosarno nel 1971; Antonino Pesce, nato a Cinquefrondi nel 1992; Savino Pesce, nato a Cinquefrondi nel 1989; Michelangelo Raso, nato a Gioia Tauro nel 1981; Bruno Stilo, nato a Melito di Porto Salvo nel 1966.

Ai domiciliari invece: Michelino Mangiaruga, nato a Taurianova nel 1979 e Rosario Armeli, nato a Cinquefrondi nel 1983.

Altre 8 misure cautelari sono state emesse sulla base di una nuova richiesta avanzata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria nei confronti di Marcello Pesce, nato a Rosarno nel 1964; Pasquale Francavilla, nato a Cosenza nel 1975; Rocco Rachele, nato a Rosarno nel 1968; Alfio Ciatto, nato a Paternò nel 1968; Gregorio Niglia detto “u Lollo”, nato a Tropea nel 1983; Roccaldo Messina, nato a Rosarno nel 1969; Andrea Villari, nato a Cinquefrondi nel 1992; Vincenzo Cannatà, nato a Gioia Tauro (nel 1984.

Per Marcello Pesce, Pasquale Francavilla e Rocco Rachele è stata disposta l’applicazione della custodia cautelare in carcere, mentre per Ciatto, Niglia, Villari e Cannatà quella dei domiciliari. Inoltre, a Messina è stata applicata la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria in tutti i giorni della settimana, per il reato di favoreggiamento personale, dal momento che avrebbe fornito a Marcello Pesce una temporanea ospitalità in una sua abitazione, dopo una delicata fase di spostamento del boss.

L’uomo era in quel momento ricercato e grande era stato il dispiegamento di uomini e mezzi, dal covo di via Mazzini a quello di via Conca d’Oro di Rosarno, così come documentato dalle telecamere di videosorveglianza degli investigatori della Polizia.

UN “PROTOCOLLO” PER PROTEGGERE IL LATITANTE

Le indagini, con le quali sarebbe stato individuato un “protocollo di protezione” posto attorno al boss ricercato, dimostrerebbero che quest’ultimo, durante la latitanza, avrebbe dato ordini e direttive alla cosca, facendo leva sull’efficiente filiera comunicativa che faceva capo su una “cerchia di fedelissimi”. Ordini e direttive che sarebbero state indirizzate al figlio Rocco Pesce e a Filippo Scordino, ritenuto uomo di punta della cosca, affiancato al figlio del boss nella gestione degli affari di famiglia oltre che suo luogotenente.

Marcello Pesce è stato raggiunto da misura cautelare anche per intestazione fittizia - aggravati dalla circostanza di aver agevolato la cosca - delle aziende Getral, Le tre Stagioni e Azienda agricola Rocco Pesce, sottoposte a sequestro preventivo nell’ambito dell’operazione del 4 aprile.

Nel corpo dei provvedimenti cautelari, sarebbero emerse anche le condotte relative al traffico di sostanze stupefacenti portate avanti da esponenti dei Pesce con altri soggetti. Fra questi figurerebbe il cosentino Francavilla – considerato come componente del gruppo dei fornitori dello stupefacente in contatto con Elia Giosafatte (affiliato ai Pesce), che avrebbe procurato la droga al gruppo di catanesi portati a Cosenza dallo stesso Elia e da suoi uomini.

IL BUSINESS DEL NARCOTRAFFICO

In particolare, a Francavilla vengono contestate, oltre che la partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di droga, aggravata dalla circostanza di aver agevolato la cosca Pesce, anche due cessioni di stupefacente: la prima di 38 chili di marijuana, al prezzo di 1800 euro al kilo, in favore dei catanesi Coppola e Giordano, con la mediazione di Giosafatte; la seconda, di 67 chili di marijuana sempre a beneficio di Coppola e Ciatto, con la mediazione di Giosafatte e Cimato. Per questo reato, detenzione per fini di spaccio di 67 kg di marijuana, è stata emessa una ordinanza di arresti domiciliari nei confronti di Alfio Ciatto.

Sempre per vicende relative al narcotraffico è stato raggiunto da misura cautelare il vibonese Niglia, con precedenti per violazione delle legge sulle armi e gioco d’azzardo: secondo la tesi degli investigatori, in concorso con Pesce, avrebbe detenuto, per cederla a terzi, più di quattro chili di marijuana.

Durante le indagini, Rocco Pesce e Gregorio Niglia sono stati ripresi dalle telecamere installate in uno dei luoghi di interesse strategico della cosca, ovvero la società agrumicola “Le tre Stagioni”, mentre, in uno spiazzo dell’azienda, avrebbero nascosto, in un’autovettura abbandonata, un quantitativo, appunto, di 4 kg di marijuana che successivamente è stato sequestrato dalla Polizia.

A Rachele - già condannato per associazione mafiosa nel processo “Porto Franco” - viene contestata l’intestazione fittizia di beni, aggravata dalla circostanza di aver agevolato la cosca Pesce. Rachele – sostengono gli inquirenti - avrebbe gestito, nell’interesse del clan ed assieme a Scordino e Pesce, la Getral (riconducibile all’ex latitante Marcello Pesce), organizzando il trasporto di merci per conto terzi, ricevendo somme di denaro, dirimendo contrasti sorti fra alcune aziende del settore e la stessa società, formalmente intestata a Andrea Villari e Vincenzo Cannatà, anch’essi raggiunti dai domiciliari.

(aggiornata alle 10:06)