‘Ndrangheta, carcere duro per il boss di Rosarno Marcello Pesce

Reggio Calabria Cronaca
Marcello Pesce

È stato applicato il 41bis a Marcello Pesce, pezzo da novanta dell’omonimo clan di Rosarno arrestato nel dicembre 2016 dopo sei anni di latitanza. I suoi avvocati Antonio Spaziale e Sandro Furfaro hanno già presentato reclamo contro il provvedimento emesso del ministero dell’Interno e sono in attesa della fissazione dell’udienza davanti al Tribunale di sorveglianza di Roma.

Marcello Pesce sta scontando una condanna definitiva per associazione mafiosa a 16 anni, inflitta nel maxi processo denominato “All inside”, frutto di una operazione della Dda di Reggio Calabria, che ha azzerato il clan Pesce di Rosarno. Marcello Pesce risulta indagato anche in un’altra inchiesta, “Recherche”, indagine che ha individuato la rete di presunti fiancheggiatori che hanno protetto la sua latitanza, accusati anche di spaccio di droga.

All’alba del 28 aprile 2010 scattò l’imponente operazione “All inside”, Marcello Pesce e i suoi più stretti congiunti riuscirono a eludere l’arresto. Si parlò con insistenza di talpe all’interno della tenenza dei carabinieri di Rosarno. Sono serviti sei anni, nel corso dei quali finirono in carcere uno dopo l’altro i latitanti di casa Pesce, compreso il boss Ciccio “testuni”, prima che i poliziotti dello Sco riuscissero a arrestare Marcello “U ballerinu”. Con ogni probabilità non si era mai allontanato dal feudo della cosca, dove poteva godere di una cintura di protezione e covi sicuri.

Il blitz è scattato attorno alle 5 del mattino, quando si è avuta la certezza che si nascondesse in un appartamento a poche decine di metri da corso Garibaldi, la via principale del paese. Stava dormendo ed era disarmato. Ha accolto i poliziotti che entrarono in casa con un sorriso. Marcello Pesce è considerato l’eminenza grigia della cosca Pesce, uomo dai modi gentili, dalle buone relazioni e buone letture.

Nel corso degli anni è stato presidente di due squadra di calcio a Rosarno, e direttore sportivo del Sapri calcio; negli anni ’90 era finito in una inchiesta su mafia e massoneria coordinata dall’allora procuratore capo di Palmi Agostino Cordova. Uscì assolto da quel processo, ma il suo nome è stato sempre accostato ai business della sua famiglia, al traffico di droga. Da qualche settimana è ristretto al carcere duro, dove avrà molto tempo da dedicare alla lettura.