Colpo agli interessi della cosca Lo Giudice. Sequestrati 210 mila euro
Un sequestro di beni è stato eseguito dagli agenti della polizia nei confronti di Luciano Lo Giudice, 43enne sorvegliato speciale considerato appartenente all'omonima cosca di 'ndrangheta operante nel reggino.
I sigilli sono scattati a 21 assegni circolari dell'importo di 10 mila euro ciascuno, per un totale di 210 mila euro, tratti sui conti correnti intestati a due imprese già confiscate definitivamente: la “Peccati di gola di Mogavero Vincenza” e “Peccati di gola di Lo Giudice Luciano”.
Il procedimento di oggi nasce da ben tre proposte di sequestro, presentate dalla Divisione Anticrimine nel 2010 e nel 2011, che hanno consentito di arrivare, nel luglio del 2012, alla confisca di aziende, beni mobili e immobili per un valore di oltre 3 milioni di euro.
Il tutto parte dalle risultanze investigative della Dda e dalle successive ordinanze di custodia cautelare, emesse a carico di Lo Giudice nel 2009 nel 2010, con l’accusa di intestazione fittizia di beni, usura, esercizio abusivo del credito, estorsione continuata e associazione per delinquere di stampo mafioso.
Secondo gli inquirenti, il 43enne, in concorso con il fratello Antonino, avrebbe fornito “un costante contributo alla vita dell'omonima cosca”, attiva sia nel capoluogo che nelle zone limitrofe: un contributo che sarebbe consistito nel reperire somme di denaro e gestire attività commerciali (anche intestate fittiziamente a prestanome compiacenti), pianificando delitti-fine, contro l'incolumità personale e contro il patrimonio, anche utilizzando armi.
Nei confronti di Lo Giudice, il Gip di Catanzaro aveva emesso un decreto di giudizio immediato in relazione agli attentati commessi nel 2010 ai danni degli Uffici della Procura di Reggio Calabria, del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello sempre del capoluogo e del Procuratore Distrettuale Antimafia della città dello Stretto.
Il sequestro di oggi viene considerato dagli investigatori come una conferma della bontà delle indagini patrimoniali che avrebbero evidenziato un “nodo inestricabile - viene spiegato - tra usura, attività imprenditoriali ed intestazione fittizia di beni”.
Il prestito usuraio, in pratica, avrebbe rappresentato l'occasione per accaparrarsi e controllare attività economiche che a loro volta, rappresentavano sia il volano per incrementare l'attività usuraia ma anche uno strumento per il controllo mafioso del mercato economico della città.
Con l’intestazione fittizia, invece, ci si sarebbe messi al riparo da possibili rischi di aggressione, da parte degli inquirenti, del patrimonio ritenuto accumulato illecitamente.
La tesi è che lo Giudice, proprio grazie alla sua appartenenza alla cosca, sarebbe riuscito ad accumulare un ingente capitale, sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati ufficialmente.