Strage di San Lorenzo del Vallo, la Cassazione conferma: ergastolo per gli assassini
Ergastolo. La Corte di Cassazione ha confermato le condanne già inflitte in primo grado e in appello a carico di Domenico Scarola (30 anni) e Salvatore Francesco Scorza (34), assassini di Rosellina Indrieri (45 anni) e Barbara De Marco (22), mamma e figlia trucidate a San Lorenzo del Vallo nella serata del 16 febbraio 2011 durante una cruenta azione di fuoco, firmata a colpi di mitraglietta Uzi e ribattezzata non a caso come “la stage di San Lorenzo del Vallo”.
Quella tragica notte le due donne vennero uccise ad un mese esatto dell’omicidio del figlio di Franco Presta, presunto boss locale. Gli inquirenti non ebbero dubbi: fu una vendetta per restituire il dolore.
Le vittime erano infatti la cognata e la nipote di Aldo De Marco, il commerciante che il 17 gennaio dello stesso anno, a Spezzano Albanese, avrebbe ucciso a colpi di pistola Domenico Presta (22 anni), durante una banale lite per un parcheggio; fatto che però avrebbe affondato le sue radici in dei vecchi rancori.
Nell’aprile successivo cadde vittima anche Gaetano De Marco, marito e padre delle due donne: lungo la strada che da Spezzano Albanese porta a San Lorenzo, mentre stava camminando, fu raggiunto da alcuni colpi d'arma.
Tornando alla cosiddetta “Strage di San Lorenzo”, i killer fecero irruzione nell’appartamento della famiglia De Marco in una palazzina popolare. Erano le 8 di sera. Fu una carneficina.
Quando i carabinieri arrivarono sul posto, al terzo piano dell’edificio, la ragazza fu trovata riversa sulla ringhiera del balcone. Un’immagine rimasta impressa negli occhi degli inquirenti e che lasciò quasi la firma sulla spietatezza con cui l’azione di fuoco fu portata a compimento.
Nella casa c’era anche Gaetano De Marco che stava dormendo in un’altra camera. Scansò così la furia dei killer che non si accorsero probabilmente della sua presenza. Ma c’era anche il figlio appena ventenne, Silos, rimasto ferito in maniera non grave ad un braccio e in un fianco. Grazie alla sua testimonianza si risalì ai due condannati, Scarola e Scorza.
Il commando poi fuggì su un’Audi A4 bianca, ritrovata bruciata a pochi chilometri di distanza e dentro la quale vi erano le armi utilizzate per la mattanza: un fucile, una pistola ed una mitraglietta.