Azienda al figlio per non perdere le commesse, sequestro beni al presidente Cciaa
I Carabinieri del Comando Provinciale e del Noe (il Nucleo Operativo Ecologico) di Reggio Calabria, hanno eseguito un sequestro preventivo - disposto dal Gip del Tribunale del capoluogo su richiesta della Dda - nei confronti della Fargil Srl, azienda con sede legale a Roma.
Si tratta di un’ulteriore sviluppo delle indagini che avevano già portato, nell’ottobre scorso, all’operazione “Metauros”, durante la quale furono fermate sette persone indagate, a vario titolo, per associazione mafiosa (per la loro presunta appartenenza alla cosca Piromalli), concorso esterno, estorsione ed intestazione fittizia di beni, con l’aggravante delle modalità mafiose, e all’esecuzione di un altro sequestro preventivo d’urgenza che aveva riguardato delle società che operano nella depurazione e nel trattamento delle acque e del trasporto e compostaggio dei rifiuti speciali non pericolosi.
Il provvedimento di oggi coinvolge, come indagato, l’imprenditore vibonese Michelino Roberto Lico, attuale Presidente della Camera di Commercio del capoluogo, a cui gli inquirenti contestano una presunta intestazione fittizia di beni attuata per evitare le disposizioni in materia antimafia.
In pratica, la tesi accusatoria è che abbia attribuito in modo fittizio al figlio Santo, 28enne, la maggioranza assoluta delle azioni della Iam Spa di Gioia Tauro, società che gestisce da oltre un ventennio la depurazione delle acque reflue di numerosi comuni della Piana.
Dalle indagini si sarebbero ricostruite in modo dettagliato le vicissitudini imprenditoriali di Lico, che fino al 20 luglio del 2015 era capo della Iam attraverso la società Ligeam. In quella data, infatti, un’altra azienda riconducibile alla sua famiglia per la gestione di appalti pubblici, la Elmecont di Maierato, ha ricevuto un’interdittiva antimafia da parte della Prefettura, un provvedimento che menzionava anche la Ligeam.
Gli investigatori ritengono che per evitare che anche quest’ultima potesse essere esclusa da commesse pubbliche, con inevitabili ricadute sulla Iam, l’imprenditore avrebbe trasferito – con una manovra societaria definita “spregiudicata” - la maggioranza azionaria di quest’ultima (l’89,5% del totale) al figlio, costituendo ad hoc la Fargil.
Sempre secondo le indagini si sarebbe oggi dimostrato “in maniera ben stagliata”, la natura fittizia dell’operazione, con Lico che di fatto sarebbe rimasto ancora saldamente al timone della Iam e, pertanto, “dominus sostanziale ed unico interlocutore dei vertici della compagine societaria” affermano gli inquirenti sostenendo inoltre che anche dopo la fuoriuscita formale dalla compagine sociale, l’imprenditore vibonese sia rimasto comunque l’unico punto di riferimento dei dirigenti della Iam, ai quali avrebbe dettato regolarmente le strategie imprenditoriali.
Il valore complessivo dei conti correnti e dei beni riconducibili alla società sequestrata ammontano a circa 1,5 milioni di euro.