A Cannitello il terzo caffè letterario: i confini tra i domini dell’arte e della follia
Grande partecipazione al terzo caffè letterario promosso dal sindaco ff Maria Grazia Richichi, con il coordinamento del dott. Giacomo Romeo e la collaborazione di diversi professionisti della città, quali Chiara Ortuso, Mariarita Sciarrone, Marco Santoro, Pino Calandruccio, Maria Giovanna Salzone, Liz Ciccarello, Ketty De Gregorio, Adele Briganti e Alessia Taverriti, e con il patrocinio morale del Comune di Villa San Giovanni.
A fare da cornice a questo terzo appuntamento, svoltosi domenica 8 aprile, come di consueto alle ore 17:00, il Museo dell’Associazione Marinai d’Italia di Cannitello.
Perché alle cinque della sera? Un tema, quello alle 5 della sera che ripercorre un percorso già praticato dalla Commissione Pari Opportunità, guidata dall'allora consigliere Maria Grazia Richichi.
Le cinque della sera segnano il momento in cui vince l’ombra, tutto comincia a diventare più inquieto e si iniziano ad esplorare nuovi mondi, come quello dell’arte e della follia
. Protagoniste di questo terzo appuntamento l’artista Tina Sgrò, pittrice con alle spalle numerose mostre collettive, e la dott.ssa Liz Ciccarello, architetto. A moderare la conversazione la dott.ssa Adele Briganti che ha introdotto il tema, delineando i legami tra arte e follia.
Il caffè letterario si apre con i saluti del sindaco Richichi, che ha dato il benvenuto agli ospiti. “Oggi siamo in una sede che è esempio di democrazia partecipata, un’associazione villese che ha fatto di una location comunale una vera e propria essenza del territorio” ha dichiarato.
A scaldare l’atmosfera il giovane musicista Mattero Scarcella che ha allietato gli ospiti con un repertorio di musica jazz.
Numerose le associazioni culturali presenti, tra cui rappresentanti di Lions, Belle Epoque, Fidapa, Kiwanis, Cif e tanti cittadini Villesi, a dimostrazione che i caffè letterari rappresentano un momento di aggregazione sociale e culturale che fa bene alla città.
Ma cosa rappresenta questa casa di dietro il mondo? E come si colloca l’artista in questa concezione?
“La casa di dietro il mondo vuol dire ritrovarsi in uno spazio trascendentale dove vengono montati i film, dove c’è quella luce in cui tutto ciò che può essere delirio diventa realtà. Uno spazio che non deve essere inteso come un luogo immaginario o sconosciuto perché se sappiamo cercarlo lo troviamo lì dove i deliranti e gli allucinati ci indicano sia: nel fondo di ogni minuto che viviamo.” rivela lo Psichiatra Giacomo Romeo.
Una definizione, la casa di dietro il mondo, di Bin Kimura, uno dei più grandi psicopatologi fenomenologici del mondo, che interfacciandosi con le persone affette da schizofrenia, entrava in contatto con la loro mente cercando di insinuarsi in una fenditura attraverso i diversi sintomi che si mostravano alla superficie per penetrare nello spazio segreto che vi era dietro. Tale spazio segreto era la casa di dietro-il-mondo della sua personale esistenza.
“L’artista, come il soggetto schizofrenico, attraversa delle fasi di sovrapproduzione di concetti e immagini, ma l’artista riesce ad estrarne un’intuizione geniale, il paziente ne resta prigioniero” ha affermato Adele Briganti. Il viaggio alla scoperta del mondo dell’arte comincia da qui, arte intesa a 360° a partire dall'architettura.
Quando noi parliamo di arte, immaginiamo subito un dipinto, ma l’arte non è solo questo. Anche l’architettura può essere arte.
A spiegarlo è l’architetto Liz Ciccarello: “Ci sono molte opere realizzate da architetti che sfruttano la macroscala della gigantografia. Questo modo di percepire l’arte è utilizzata da molti archistar, che fanno dell’architettura una scultura, una su tutte la famosa Nuvola di Fuksas, e che dà vita al cosiddetto gigantismo oggettuale”.
L’atto fondante dell’architettura è la costruzione di un muro che in fondo rappresenta l’appropriarsi di un territorio. Di recente si è però fatta strada il superamento di questo spazio e di alcune barriere, ed è una forma di emancipazione dell’architettura.
“Si inizia a smaterializzare il muro, liberando l’architettura dagli elementi che servono alla costruzione della stessa. Un esempio pratico ci porta al caso della Fondazione Cartier, caratterizzato da grandi facciate a vetri, in cui succede che la riflessione continua di immagini porta l’osservatore in una condizione di vero e proprio smarrimento, definita vertigine perché in quel momento si ha il superamento della tridimensionalità e di quella che viene definita la volumetria. Con questa trasgressione secondo Nouvel si arriva all’arte” conclude la Ciccarello.
Arte che si realizza laddove riesce proiettarsi in quell’altrove, in quella luce che è una finestra sul mondo. L’interpretazione della luce come spazio sul mondo viene data poi dall’artista Tina Sgrò, attraverso il suo modo di intendere l’arte.
“C’è un fortissimo impatto chiaroscurale nelle mie opere, ma è proprio la luce che caratterizza le mie opere, una luce di speranza di vita. Ho sempre avuto speranza in qualcosa e questa speranza si traduce in una luce che è presente in ogni mio lavoro” ha affermato Tina Sgrò.
E le opere di Tina Sgrò riflettono le esperienze di vita personale e professionale. C’è ad esempio, nelle sue opere, una dimensione caravaggesca legata al contrasto di luci ed ombre. “Un’influenza – ha dichiarato - che non è una forzatura, però questo pensiero si solidifica e si stratifica nelle opere che faccio. Esprimo quello che è il mio essere e la mia struttura intima. La cosa importante è quella di oggettivare un sentimento ed esporlo al giudizio degli altri, generando un confronto e interpretazioni diverse. Perché chi guarda le mie opere vede spesso cosa che io non ho immaginato.”
A concludere i lavori, il punto di vista dello Psichiatra Giacomo Romeo. “Spesso questo spazio è tra le pieghe e gli strati della nostra quotidianità, quell'interstizio noematico ed eidetico, quell’universo immaginifico dove si realizzano i film. Perché è lì, esposti a quella luce, che i pensieri e le idee deliranti diventano reali. Perché è lì che c è la camera oscura, lì c'è il bacile con gli acidi e i negativi si sviluppano. È lì che si montano i film. Questo spazio virtuale che non riusciamo a penetrare, una superficie di contatto molto resistente, è la connessione con il mondo esterno, quella superficie che ci fa paura e per questo difficile da valicare senza un pizzico di follia. Ma in fin dei conti – parafrasando il filosofo Nietzsche, ha concluso Romeo – dove crediamo di andare? Se non abbiamo il caos dentro non possiamo partorire una stella danzante.