Giri di società per scansare i sequestri, l’ascesa nel Lazio di un imprenditore in odor di mafia

Reggio Calabria Cronaca

Strutture ricettive in uno dei paesaggi più belli d’Italia, soprattutto del Lazio. La cittadina di Rocca di Papa, zona che fa parte della Comunità montana Castelli Romani e Prenestini e che ospita anche la sede del Parco regionale dei Castelli Romani.

Anche queste aree facevano gola alla ‘ndrangneta calabrese, in particolare a quella gioiese della Cosca Molè. A questa conclusione sono giunti gli uomini della squadra mobile capitolina che stamani hanno arrestato quattro persone, tre finite in carcere - Agostino Cosoleto, nato a Oppido Mamertina il 10 novembre del 1961; Francesco Cosoleto, nato a Cinquefrondi il 22 aprile del 1986 e Teodoro Mazzaferro, nato a Gioia Tauro il 1° giugno del 1956 - ed una ai domiciliari, Maria Luppino, nata Taurianova il 4 marzo del 1969.

Le accuse contestate sono - a vario titolo - di trasferimento fraudolento di valori in concorso finalizzato ad eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali. Una quarta persona risulta anche lei indagata, Maria Teresa Molè (28 anni).

L’operazione, denominata “Gioia Tauro ai Castelli”, è scattata alle prime luci del giorno quando gli investigatori hanno anche eseguito il sequestro di beni per 4 milioni di euro (LEGGI): le quote della società “Il Casale Srls” e la ditta individuale “Il Redentore” di Maria Luppino, entrambe a Rocca di Papa; immobili che fanno parte di parte di un fabbricato a Gioia Tauro; un appartamento e un garage di pertinenza; due porzioni immobiliari, allo stato rustico, che sono in corso di costruzione; un lastrico solare.

I provvedimenti di oggi rappresentano la sintesi di un’articolata indagine dalla Sezione Criminalità Organizzata della Mobile romana, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia locale, che avrebbe permesso di delineare e ricostruire una serie di interposizioni fittizie di beni direttamente riconducibili ad Agostino Cosoleto, e che si ritiene realizzate in concorso con il figlio Francesco, la moglie Maria Luppino, il cognato Teodoro Mazzaferro e la nuora Maria Teresa Molè.

Gli inquirenti si sono concentrati nel ricostruire ed analizzare delle circostanze che hanno caratterizzato l’ascesa imprenditoriale di Cosoleto attraverso acquisizioni d’impresa e operazioni finanziarie realizzate nel territorio della capitale. Investimenti che per gli investigatori striderebbero con le capacità reddituali esigue dell’uomo, almeno quelle dichiarate ufficialmente.

Agostino Cosoleto, pregiudicato, sarebbe legato alla ‘ndrangheta che opera nel cosiddetto mandamento tirrenico reggino e vanterebbe legami di sangue con l’articolazione mafiosa che opera a Castellace di Oppido Mamertina.

Sua madre, infatti, Domenica Mammoliti (cl. ’29), era la sorella di Saverio Mommoliti (cl. ’42), detto “Saro”, per anni ritenuto capo indiscusso dell’omonima cosca federata ai Piromalli.

Agostino, tramite il figlio Francesco, vanta anche un rapporto di affinità con la blasonata ‘ndrina dei Molè di Gioia Tauro, storicamente alleata, fino al 2008, ai Piromalli, egemone sull’intero mandamento tirrenico.

Sempre il figlio è difatti sposato con Maria Teresa, figlia del presunto boss Rocco Molè (cl. 65), reggente della cosca fino al febbraio 2008, data in cui è stato ucciso e che ha segnato un passaggio chiave per le dinamiche e gli equilibri della ‘ndrangheta della Piana.

I RAPPORTI TRA CON LA COSCA MOLÈ-PIROMALLI

Secondo gli investigatori, i rapporti tra Agostino Cosoleto e la cosca Molè-Piromalli risalirebbero a un’epoca antecedente al matrimonio del figlio.

La sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Palmi nel 2012, per una vicenda di interposizione fittizia simile a quelle contestate oggi, ha infatti riconosciuto l’aggravante dell’aver agito con la preminente finalità di agevolare la cosca dei Molè.

In particolare, i giudici gli avrebbero riconosciuto il ruolo di “imprenditore di riferimento” dello stesso clan fin dagli anni ’80, analizzando anche le ragioni che lo avrebbero indotto a ricorrere alle intestazioni fittizie per evitare eventuali sequestri.

È infatti del 2001 un decreto del Tribunale di Reggio Calabria che gli aveva inflitto la Sorveglianza Speciale con l’obbligo di soggiorno oltre che il sequestro del patrimonio immobiliare a lui riconducibile.

I VINCOLI DI PARENTELA COI MAZZAFERRO

Vincoli di parentela sussisterebbero anche con Teodoro Mazzaferro (cl. ’56), ritenuto appartenente all’omonima famiglia di Gioia Tauro – da sempre legata ai Piromalli e ai Mammoliti – considerato che è nipote diretto dei più noti Teodoro (cl. ’38) e Girolamo (cl. ’35), esponenti di primo piano della ‘ndrangheta tirrenica. Cosoleto, infatti, è il fratello di Maria Catena, moglie di Teodoro Mazzaferro cl. ’56.

LA DECISIONE DI TRASFERIRSI NELLA ZONA DEI CASTELLI ROMANI

In passato, la famiglia Cosoleto era stata poi già coinvolta in reati di associazione a delinquere di stampo mafioso. In particolare, Agostino e il figlio Francesco furono arrestati, nel dicembre del 2009, nell’ambito operazione “Maestro poiché ritenuti appartenenti alla cosca Molè.

Per questa vicenda giudiziaria Agostino, condannato in primo grado con giudizio abbreviato, fu poi assolto in appello, mentre Francesco, giudicato con rito ordinario, venne assolto dal Tribunale di Palmi.

Dopo la loro scarcerazione decisero così di allontanarsi da Gioia Tauro trasferendo i loro interessi economici nella zona dei Castelli Romani, “perfettamente in linea con le strategia di quell’epoca dei Molè”, ribadiscono gli inquirenti.

L’omicidio di Rocco Molè, infatti, avrebbe segnato l’inizio di un progressivo spostamento dei canali di reinvestimento della ‘ndrina verso il Lazio.

IL FIGLIO “SCHERMO” DELLE PROPRIETÀ DEL PADRE

La sintesi delle indagini, rafforzate da intercettazioni, accertamenti anche bancari e dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, avrebbe consentito di dimostrare che Agostino Cosoleto avrebbe dunque utilizzato il figlio Francesco per schermare la proprietà e la piena disponibilità della società Il Canale Srls così da sottrarla a possibili aggressioni da parte dell’Autorità Giudiziaria.

Nel febbraio del 2015 Agostino, insediatosi stabilmente ai Castelli Romani insieme a tutta la famiglia, intraprese l’attività di ristorazione, intestata formalmente alla all’azienda sequestrata e di cui Francesco è risultato essere socio e amministratore unico.

Tramite l’intermediazione del cognato Teodoro Mazzaferro, tramite un contratto di comodato di azienda commerciale, Cosoleto avrebbe ottenuto la conduzione di un’attività di ristorazione e bed & breakfast a Rocca di Papa.

Il contratto - stipulato con società “La Regina del Bosco Srl” – gli avrebbe così consentito di acquisire la disponibilità di una struttura ricettizia composta da un hotel e un ristorante.

La struttura, dopo la ristrutturazione, fu inaugurata nel maggio del 2015 con il nome di “Ristorante albergo il Redentore

Per gli investigatori, però, sarebbero evidenti alcune “anomalienel contratto di comodato, dato che la disponibilità dell’intera struttura è stata concessa per dodici anni senza la previsione di alcun corrispettivo. Per di più, l’immobile era sottoposto a sequestro preventivo.

Da febbraio 2008, infatti, la società “La Regina del Bosco Srlera, ed è tutt’ora, cautelate insieme all’albergo-ristorante attualmente gestito dai Cosoleto.

Il provvedimento era stato adottato nell’ambito di un procedimento, allo stato pendente in fase dibattimentale presso il Tribunale di Roma, a carico di soggetti indagati per usura ed estorsione, trasferimento fraudolento di valori e riciclaggio.

LE INTERCETTAZIONE CHE “INCASTREREBBERO” COSOLETO

Numerose sono le conversazioni intercettate tra i protagonisti della vicenda dalle quali emergerebbe chiaramente che Agostino sarebbe il dominus dell’operazione e l’effettivo titolare e gestore della società Il Casale, mentre il figlio è risultato esserne un dipendente, “in tutto subordinato alle direttive del padre”.

Tra l’altro, nell’intera vicenda Agostino avrebbe operato in maniera simile a precedenti esperienze imprenditoriali,ossia – spiegano gli investigatori - utilizzando l’escamotage di figurare come dipendente della società al fine di giustificare la sua presenza nei locali aziendali”.

Nell’estate del 2017, per scongiurare il sequestro del compendio aziendale, Agostino avrebbe costituito una ditta individuale, “Il Redentore di Luppino Maria”, intestata formalmente alla moglie.

Dopo la costituzione, Francesco - rappresentante de Il Canale Srls – avrebbe trasferito alla madre il contratto di comodato gratuito di azienda in forza del quale aveva precedentemente ottenuto beni dalla Regina del Bosco Srl.

Gli agenti sostengono che anche questa operazione commerciale sarebbe stata opera di Cosoleto, titolare di fatto e gestore dell’impresa individuale.

La conferma arriverebbe dagli accertamenti svolti in merito alle effettive capacità economiche della Luppino, che è sostanzialmente senza redditi.

Dalle indagini, inoltre, sarebbe anche emerso che Francesco Cosoleto sarebbe stato coinvolto, come intestatario fittizio, in altre due ipotesi di interposizioni fittizie relative a immobili che sono ubicati a Gioia Tauro, apparentemente ceduti a lui e a sua moglie dallo zio Teodoro Mazzaferro.

Gli elementi raccolti nel corso delle investigazioni attesterebbero dunque che anche in questo caso le intestazioni degli immobili siano state pianificate e coordinate dal padre, nell’interesse del cognato, per prevenire un sequestro ai danni di quest’ultimo.

Nel luglio del 2015, infatti, i due avrebbero stipulato un contratto di compravendita in forza del quale avrebbero acquistato da Mazzaferro, rappresentato da Agostino, la proprietà di una serie di immobili che fanno parte di un fabbricato a Gioia Tauro.

L’analisi approfondita degli accertamenti relativi ai redditi di Francesco Cosoleto e Maria Teresa Molè, comparata con quelli effettuati presso le banche, avrebbero evidenziato quella che gli investigatori definiscono come “una palese natura fittizia dell’operazione commerciale”.

Nello specifico, i corrispettivi pagati con assegni bancari sarebbero risultati non corrispondenti agli importi dei titoli di pagamento indicati nell’atto di compravendita.