Costituzione: nel carcere di Siano dibattito col partigiano Manente
Entrare a 94 anni in carcere. Per raccontare ai detenuti cosa ha voluto dire, durante la Resistenza, essere imprigionati e condannati senza aver commesso un reato, senza un processo, senza una difesa.
Lo ha fatto Carlo Manente, partigiano originario di Catanzaro e ancora oggi qui residente, che ha partecipato a luglio all’evento conclusivo del progetto “Studiare la Costituzione in carcere”, portato avanti dalla Casa Circondariale Ugo Caridi, in partenariato con l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia –Comitato provinciale di Catanzaro, in occasione del 70° anniversario dall’entrata in vigore della Costituzione italiana (1948-2018).
Accanto a questa presenza d’eccezione al tavolo dei relatori la direttrice del carcere di Siano Angela Paravati e il presidente dell’Anpi Mario Vallone.
“I primi due incontri in cui si è articolato il progetto hanno avuto rispettivamente un taglio giuridico, con la presenza del costituzionalista Silvio Gambino, docente all’Università della Calabria, e storico, grazie alla collaborazione di Rocco Lentini, presidente dell'Istituto “Ugo Arcuri” per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea - spiega Angela Paravati - mentre in quello conclusivo è stato possibile ascoltare una testimonianza diretta, grazie alla partecipazione di cui ha contribuito in prima persona all’Italia democratica in cui viviamo oggi”.
I detenuti prima di partecipare al progetto hanno studiato le lettere scritte tre generazioni fa dai condannati a morte della Resistenza italiana, nell’ambito del laboratorio di lettura e scrittura creativa coordinato dal docente universitario in pensione Nicola Siciliani De Cumis. Carlo Manente, data l’età, esce poco; tuttavia con un foulard tricolore attorno al collo, a testimonianza di quanto quel passato sia ancora recente, è venuto qui, al carcere di Siano, per raccontare ciò che è successo, durante la Resistenza.
Racconta la fame, racconta la paura, racconta la condanna sommaria alla fucilazione, per lui e per altri otto ragazzi, che non superavano i vent’anni.
Le condanne sono frutto di rappresaglie, di decisioni veloci e non motivate. Dei nove condannati sette vengono giustiziati. Lui e un altro ragazzo si salvano perché sopravviene un impegno più urgente per chi doveva procedere all’esecuzione. Viene ordinato loro di buttare in una fossa i cadaveri dei compagni. Questo è stato. Prima di questa scampata esecuzione Carlo Manente aveva provato il carcere fascista. Luogo di interrogatori accompagnati da torture e percosse.
Luogo in cui gli antifascisti iniziano a pensare al testo della Costituzione oggi in vigore, che all’articolo 27 stabilisce che la pena deve essere rieducativa e che non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Se esistesse un certificato di nascita della Costituzione italiana, sarebbe corretto indicare come luogo di nascita il carcere. Per questo Carlo Manente è voluto venire qui a ricordarlo.