Lucano tuona ancora: “Non vogliono uccidere me ma Riace”
“Non vogliono uccidere me, ma Riace”. Torna a parlare Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace - la Prefettura di Reggio Calabria lo ha sospeso dall’incarico giovedì scorso (LEGGI) -, finito in arresto i primi di ottobre nell’ambito dell’operazione Xenia (LEGGI) in cui la Procura di Locri gli ha contestato il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Come si ricorderà, il 16 scorso il Tribunale del Riesame gli ha revocato i domiciliari (LEGGI) disponendone però il divieto di dimora nella cittadina reggina divenuta simbolo e “modello” di integrazione.
Lucano difende a spada tratta proprio il suo modello: “Vorrebbero cancellarne la storia - afferma all'Agi - e farla scomparire dentro la sua geografia, in fondo alla montagna calabrese. Ma sta succedendo il contrario”.
Secondo l’ex primo cittadino tutti “capiscono che Riace non era mai stata così viva. Ci sono fondazioni che – ha aggiunto - si sono fatte avanti offrendo aiuti e soldi”.
Lucano, poi, si dice certo che più Riace venga “colpita” più “la rendono mitica”, azzardando addirittura un paragone con la città di Troia.
Poi un mea culpa: “certo che ho fatto errori, ma - ha sbottato - è falso che sono metà cavaliere e metà bandito. Il Lucano che raccontano non esiste: mi chiamo Mimì, non Mimmo”.
Un Mimì che rivendica quanto di buono avvenuto nella sua piccola comunità: “con i famosi 35 euro qui abbiamo creato laboratori artigiani, un asilo nido plurietnico, una scuola, presidi medici, un ristorante”.