“Locale” di Trunca e Allai: colpiti i beni del boss defunto, sequestro da 1,6 mln
Un patrimonio, composto da beni immobili e rapporti finanziari per un valore complessivo stimato in circa 1,6 milioni di euro, è stato sequestrato stamani a due soggetti ritenuti intranei alla “locale” di ‘ndrangheta delle frazioni del capoluogo reggino di “Trunca” e “Allai”.
Ad eseguire il provvedimento i finanzieri del capoluogo dello Stretto e dello Sco di Roma, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia, diretta da Giovanni Bombardieri.
Due le misure emesse su richiesta dell’Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Francesco Ponzetta e che hanno colpito rispettivamente i beni intestati o riconducibili a Domenico Chilà, cl. ’41, defunto, e Giovanni Alampi, di 72 anni, oltre che dei loro rispettivi nuclei familiari.
LE FIGURE CRIMINALI dei due sarebbero emerse nel corso delle indagini eseguite nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’operazione “Crimine” (LEGGI): all’epoca, nel 2010, entrambi finirono in carcere, insieme ad altre 119 persone, per associazione mafiosa essendo considerati intranei alla “locale” di ‘ndrangheta dei “Trunca” e “Allai”.
In quel contesto furono poi condannati, nel 2012, Chilà a 4 anni e 8 mesi - sentenza confermata dalla Corte di Cassazione - come appartenente alla “locale di Trunca” con la dote di “sgarro”, in pratica la più alta carica della cosiddetta “Società Minore”; Alampi, invece, a 6 anni di reclusione - pena rideterminata dalla Suprema Corte - come esponente di vertice della stessa “locale”.
Al termine dell’operazione la Dda ha disposto un’indagine patrimoniale a loro carico per individuare e poi sequestrate il patrimonio a loro riconducibile.
Sono così partite le investigazioni, condotte dal Gico e dallo Sco, che hanno ricostruito ed analizzato le transazioni economiche e finanziarie operate negli ultimi trent’anni dai due indagati e dalle proprie famiglie.
Attraverso una complessa e articolata attività di accertamento e di riscontro documentale si è arrivati ad individuare dei patrimoni dei quali gli stessi risultavano disporre, direttamente o indirettamente, ed il cui valore è apparso sproporzionato rispetto alla capacità di reddito dichiarata, oltre alle presunti fonti illecite dalle quali avevano potuto trarre le risorse per la loro acquisizione.
Gli investigatori, inoltre, hanno ricostruito il “percorso esistenziale” di Chilà e Alampi, le probabili condotte delittuose, così come le loro frequentazioni, i legami parentali, i precedenti giudiziari e tutti gli altri elementi ritenuti fondamentali per formulare la cosiddetta pericolosità sociale “qualificata” dall’appartenenza ad un’associazione mafiosa.
Sulla base di quanto acquisito, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della Dda, ha così disposto il sequestro del patrimonio riconducibile ad entrambi e che ha interessato nove unità immobiliari, due terreni, quote di fabbricati e disponibilità finanziarie.