Acciuffata la banda delle rapine alle Poste, quattro arresti nel lametino
Due anni di indagini che avrebbero permesso oggi di sgominare una banda coesa, dal modus operandi ormai rodato e che avrebbe messo a segno ben sette rapine a Lamezia Terme e Gizzeria, tra il 2015 ed il 2017.
Un gruppo composto la cui ascesa criminale sarebbe iniziata con il “colpo” all’Ufficio Postale di Gizzeria Lido, messo a segno il 1° ottobre del 2015, quando un uomo con volto coperto ed armato di pistola si fece consegnare dai dipendenti 4 mila euro, per poi darsi alla fuga.
Da qui sono partite le investigazioni che oggi hanno portato i carabinieri della Città della Piana, in collaborazione col Nucleo Investigativo Centrale di Polizia Penitenziaria di Catanzaro, ad eseguire ben quattro arresti nei confronti di altrettante persone.
In carcere sono così finiti due italiani, Aldo Borelli (di 53 anni) e Michele Malvaggio (di 57), ed altrettanti stranieri: Giovanni Cukon (38enne slovacco) e Perparim Lamaj (33enne albanese).
Le accuse contestate dalla Procura sono, a vario titolo, di rapina aggravata in concorso, sequestro di persona, lesioni personali aggravate, tentato omicidio e porto illegale di armi comuni da sparo e clandestine.
LA PISTA DELLA RAPINA A GIZZERIA
Come dicevamo, tutto è partito dalla rapina alle Poste di Gizzeria. Le indagini subito avviate dai Carabinieri della stazione locale, dopo un meticoloso lavoro di analisi delle immagini della videosorveglianza cittadina, supportate da testimonianze ottenute nell’immediatezza, condussero ad uno dei quattro arrestati, Borelli, che in compagnia di un altro soggetto sarebbe stato sul luogo della rapina proprio il giorno prima.
Gli investigatori ritengono fossero lì per eseguire un “sopralluogo” e poi colpire all’indomani.
Borelli fu subito messo sotto controllo e i militari notarono anche dei frequenti contatti telefonici con persone dell’area balcanica.
Vennero poi rintracciate diverse operazioni di trasferimento di denaro, effettuate tramite dei servizi di money transfer, a favore di un soggetto slavo che sarebbe stato assoldato da Borelli come complice.
Grazie alla cooperazione attivata dall’Interpol con la polizia di Zagabria, si arrivò così ad identificare Cukon, già gravato in Croazia da numerosi precedenti per armi e delitti contro il patrimonio. Lo slovacco risultò solito imbarcarsi da Dubrovnick per Bari, proprio in concomitanza con i crimini verificatisi nel lametino.
LA RAPINA ALLE POSTE DI LAMEZIA
Il 3 dicembre del 2015, infatti, venne consumata una rapina all’Ufficio Postale di Lamezia Terme Sambiase e con lo stesso metodo usato per quella di Gizzeria. Anche qui, infatti, una persona con la pistola in pugno si fece consegnare circa duemila euro e poi sparì.
Già dalle prime informazioni assunte gli investigatori ebbero la conferma della presenza di un altro soggetto, apparentemente straniero. Infatti, dall’analisi del traffico telefonico dei due presunti rapinatori, emerse chiaramente come qualche giorno prima Cukon fosse tornato in Italia, forse per dare manforte al compagno.
Solo qualche giorno più tardi, invece, la sera del 23 dicembre del 2015, tre uomini armati di pistola e sempre col volto coperto, entrarono nel capannone di un esercizio commerciale di Gizzeria, minacciando e picchiando il proprietario e alcuni dipendenti.
Dopo averli legati, quindi, si impossessavano di 2.500 euro fuggendo a bordo dell’auto del titolare dell’attività, non prima però di aver esploso alcuni colpi di pistola sui cellulari delle vittime.
LE ANALISI DEL RIS E LE TRACCE DI DNA
Durante il sopralluogo effettuato dai Carabinieri vennero però repertate alcune tracce di sangue e i bossoli esplosi dai rapinatori. Il tutto fu inviato al Ris di Messina per gli accertamenti biologici e balistici.
Le analisi delle tracce ematiche permisero così di risalire al Dna di Borelli, di Malvaggio e di una terza persona. Anche in questo caso, la rapina combaciò perfettamente con il rientro in Italia del Cukon, preceduto da un’operazione di money transfer a suo carico effettuata da Borelli.
LA RAPINA AL MONEY TRANSFER
Mentre i pezzi del complicato puzzle prendevano pian piano il loro posto grazie agli scrupolosi riscontri degli investigatori, il 9 maggio 2016 due soggetti armati di pistola e ancora una volta mascherati, fecero irruzione in un’attività commerciale di money transfer a Lamezia Terme impossessandosi di qualche centinaia di euro.
Secondo gli inquirenti i due malviventi, dal marcato accento straniero, sarebbero stati proprio Cukon e Lamaj, quest’ultimo già noto alle forze dell’ordine e ritenuto “vicino” a Borelli.
LA RAPINA ALLA TABACCHERIA
L’apice dell’azione dei rapinatori si sarebbe però raggiunto nella serata del 12 maggio 2016, quando di nuovo due uomini con la pistola e volto coperto misero a segno una rapina in una tabaccheria di Lamezia Terme.
Qualche minuto prima, però, gli stessi avrebbero tentato lo stesso colpo in un’altra tabaccheria di Sambiase. Qui, dopo aver tentato di impossessarsi del bottino, tentarono la fuga a piedi ma un passante, accortosi dell’accaduto, si mise ad inseguirli raggiungendo uno di loro che, per scappare, gli sparò un colpo di pistola a brevissima distanza colpendolo all’addome; poi sparì assieme al complice.
Dalle indagini emerse che l’autore della rapina sarebbe stato Borelli, che fu arrestato e condannato (con sentenza confermata in Appello) a 10 anni di reclusione (LEGGI).
L’identità del suo presunto complice rimase però sconosciuta. Tuttavia dal confronto balistico fra il bossolo esploso e quello ritrovato dopo la rapina del 23 dicembre, emerse una “perfetta compatibilità” dei due proiettili che sarebbero stati esplosi dalla stessa arma utilizzata dal soggetto con l’accento straniero, almeno secondo quanto riferirono le vittime.
IL COLPO AL COMMERCIANTE DI GIZZERIA
L’ultimo colpo messo a segno dalla banda, invece, risale alla sera del 13 ottobre 2017: in questo caso un uomo armato di si avvicinò all’autovettura condotta dal titolare della stessa attività commerciale di Gizzeria rapinata la sera del 23 dicembre 2016.
Fortunatamente, allora, intervenne il fratello della vittima che si scagliò sul rapinatore, il quale fece cadere l’arma e fuggì. Si trattava di una pistola clandestina, perfettamente funzionante e carica.
Grazie alle informazioni assunte e ad una serie di riscontri, i Carabinieri focalizzarono l’attenzione su Cukon che dall’analisi del traffico telefonico risultò fosse effettivamente sbarcato in Italia.
L’ULTIMO TASSELLO DEL PUZZLE
Ma l’operatività della banda era ormai agli sgoccioli. Borelli - ritenuto la “mente” del gruppo - era infatti in carcere, Malvaggio detenuto invece per altra causa e Lamaj attenzionato dai militari lametini nell’ambito di un’altra attività che portò al suo arresto insieme al figlio di Borelli, Salvatore, sempre per reati contro il patrimonio.
In circolazione era rimasto solo Cukon che, tuttavia, fece il suo ultimo viaggio dalla Croazia per l’Italia nel dicembre 2017, quando i Carabinieri di Gizzeria Lido lo arrestarono dopo averlo trovato con una pistola clandestina ed un paio di guanti in lattice.
Accertamenti biologici eseguiti sul suo Dna, svolti in collaborazione con la Polizia croata, permisero infatti di inserire l’ultimo tassello del mosaico. Emerse difatti un’altra traccia di sangue - di cui non era stata ancora individuata la paternità - repertata nel capannone la sera del 23 dicembre e che risultò perfettamente compatibile con il profilo genotipico di Cukon.
UN’AMICIZIA NATA TRA LE SBARRE CROATE
Le indagini dei Carabinieri, sotto la direzione della Procura, proseguirono anche in carcere, in collaborazione con la Penitenziaria catanzarese che monitorò le conversazioni in cella fra Borelli e Cukon.
Grazie ai riscontri forniti, infatti, venne rafforzato l’intero impianto di prova nei loro confronti. Fin dal momento in cui i due vennero ristretti nella stessa cella, infatti, emersero delle chiare conversazioni che dimostrerebbero “un consolidato rapporto di amicizia” fra i due, nato in Croazia durante gli anni di detenzione trascorsi lì insieme.
Nelle conversazioni sarebbero stati infatti commentati i loro colpi nel tentativo di capire se gli inquirenti potessero aver ricostruito l’intera dinamica dei fatti.
Borelli e Cukon avrebbero ripercorso date, orari, strade, fatto mente locale sulla presenza o meno di telecamere, convinti che la Polizia giudiziaria non potesse ricostruire l’accaduto.
LE INTERCETTAZIONI E LA POLIZIA CHE “NON CASPISCE UN C…”
“Non ci capiscono un c… questi … non sanno tutto capito”. Questa ad esempio una delle affermazioni di Borelli in merito alle rapine che si ritiene effettuate insieme al presunto complice e registrate tra le sbarre del carcere.
La cosiddetta “mente” della banda appariva quasi orgoglioso di non aver mai collaborato svelando il nome dello slovacco con il quale avrebbero già pensato ai progetti futuri.
Secondo gli investigatori, infatti, il progetto dei due sarebbe stato quello di spostarsi nell’area balcanica, dove entrambi avevano ottime conoscenze.
Come? In stato di latitanza. Nella primavera di quest’anno, infatti, Borelli avviò uno sciopero della fame, rifiutando cibo e cure. Una strategia che secondo i militari avrebbe attuato per farsi ricoverare nell’infermeria del carcere per poi ottenere i domiciliari e rendersi successivamente irreperibile.
“… Anche se la Cassazione può confermare il mandato di arresto mi butto latitante e me ne fotto …” avrebbe affermato lo stesso Borelli senza sapere di essere registrato dal Nucleo Investigativo della Penitenziaria.