Guardiania, estorsioni e “pizzo”: il boss li gestiva dal carcere e la “famiglia” eseguiva

Reggio Calabria Cronaca

Nonostante fosse stato arrestato nel 2014, nell’ambito dell’operazione “Vecchia Guardia” (LEGGI), e si trovasse dunque in carcere, il presunto boss della cosca di ndrangheta dei Cianci-Maio-Hanoman di San Martino di Taurianova, avrebbe continuato dal penitenziario, per tramite dei i suoi familiari, ad impartire disposizioni per estorcere denaro o beni a proprietari terrieri, imprenditori e commercianti.

Se ne dicono certi gli investigatori della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri: stamani così la Squadra Mobile del capoluogo, insieme ai colleghi dei Commissariati di Taurianova e Cittanova, ha eseguito otto arresti - di cui sei in carcere e due ai domiciliari – nei confronti di altrettante persone di Taurianova accusate oggi e a vario titolo di associazione mafiosa (ovvero di far parte proprio della cosca Cianci-Maio-Hanoman), ma anche di estorsione ed intestazione fittizia di beni.

GLI INDAGATI

Tra le sbarre sono finiti Domenico Cianci (1947); Concettina Gligora (1979); Domenico Forgetti (1985); Giuseppe Mavrici (1974); Damiano Forgetti (1985) e Annunziato Chirico (1967). Ai domiciliari, invece, Rachela e Damiano Cianci (rispettivamente del 1945 e del 1940).

IL POTERE DEL CLAN NEL CONTESTO AGRICOLO E PASTORALE

LE INDAGINI - coordinate dall’Aggiunto Calogero Gaetano Paci e dal Sostituto Giulia Pantano - sono partite all’indomani dell’inchiesta “Vecchia Guardia”, che nel 2014 aveva colpito la cosca di San Martino di Taurianova, con a capo il 71enne Domenico Cianci.

Dopo l’arresto del presunto boss, le investigazioni erano infatti proseguite intercettando i colloqui in carcere di quest’ultimo con i suoi familiari e scoprendo come appunto Cianci desse ordini a quest’ultimi relativi alla presunta attività estorsiva.

L’esistenza e l’operatività della cosca Cianci-Maio-Hanoman è stata accertata con delle precedenti inchieste della Dda (in particolare la Tutto in famiglia” (LEGGI) e la “Vecchia Guardia”), che avrebbero fotografato la spartizione del territorio di San Martino, conteso tra due famiglie: i Cianci e i Zappia.

Due clan che attualmente non risultano in conflitto tra di loro, anzi - e secondo gli inquirenti - coesisterebbero esercitando la loro influenza, imponendo estorsioni sulle operazioni immobiliari e attraverso l’antico metodo della “guardiania” sui fondi agricoli. Si tratta in realtà di un potere mafioso esercitato in un contesto che è essenzialmente agricolo e pastorale.

IL RUOLO DELLE DONNE, DALLA GESTIONE AI MESSAGGI IN CARCERE

I coinvolti nell’operazione di oggi, battezzata Quieto vivere”, sono ritenuti per lo più appartenenti allo stretto nucleo familiare di Domenico Cianci.

In particolare si tratta di fratelli, generi e nipoti del boss, che dato lo stato di detenzione del 71enne avrebbero così preso le redini della cosca, rispondendo, però, sempre agli ordini del vecchio capo.

Un altro ruolo in quest’ambito, sottolineano gli investigatori, sarebbe quello ricoperto poi dalle donne di famiglia, in particolare Concettina Glicora e Rachela Cianci.

La tesi è che abbiano cooperato nelle attività mafiose, con ruoli di gestione del denaro e di amministrazione nell'ambito della cosca, oltre che essere un tramite di comunicazione dei messaggi verso l'esterno del capo famiglia detenuto.

Quanto invece a Damiano Cianci, Domenico Forgetti, Giuseppe Mavrici, Rachela Cianci, Concettina Gligora, Damiano Forgetti e Annunziato Chirico, sono tutti indagati per associazione mafiosa come presunti appartenenti allo stesso clan del mandamento tirrenico.

LE POSIZIONI DEGLI ALTRI ARRESTATI

Nel dettaglio, Damiano Cianci avrebbe avuto un ruolo di promotore, dirigente ed organizzatore del clan, gestendo le attività estorsive ed i danneggiamenti, controllando l’opera degli altri affiliati, impartendo disposizioni ben determinate. Il tutto durante la forzosa assenza del fratello Domenico.

Forgetti è ritenuto un “partecipe”, con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati, eseguire le direttive dei vertici, operare estorsioni e danneggiamenti (con incendi), così da costringere le vittime a pagare.

Mavrici, considerato anch’egli un “partecipe” della cosca, avrebbe avuto il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati, eseguire le direttive dei vertici e operare anche lui nelle estorsioni.

Stesso compito di assicurare le comunicazioni viene contestato a Rachela Cianci, che sarebbe stata anche la “cassiera” del clan con l’incarico di custodire il denaro ottenuto dalle estorsioni. Alla stessa viene contestato anche il ruolo di intestataria fittizia.

L’altra donna, Concettina Gligora, sarebbe stata incaricata anche lei di assicurare le comunicazioni tra gli associati ma anche di eseguire le direttive dei vertici.

Damiano Forgetti, “partecipe” del clan, oltre a passare le informazioni avrebbe avuto compiti operativi nelle estorsioni mentre ad Annunziato Chirico sarebbe spettato dirimere eventuali problematiche, eseguire le direttive dei capi, operare nelle estorsioni, ma anche mantenere i rapporti di alleanza con la famiglia degli Zappia in relazione alla spartizione dei proventi derivanti dal "pizzo" alle imprese aggiudicatarie di commesse pubbliche.

“IL GUARDIANO DI CONTRADA” A 250 EURO AL MESE

Al presunto boss, Domenico Cianci, viene additata in particolare un’estorsione ad un proprietario terriero, a cui si si sarebbe presentato come il guardiano di contrada”, imponendo allo stesso proprietario e al fattore la cosiddetta guardiania dei fondi che si trovavano a San Martino di Taurianova, costringendoli a pagare 250 euro al mese.

In merito ad un altro episodio, con vittima sempre un proprietario terriero (costretto anch’egli a sganciare i 250 euro mensili), nonostante Cianci fosse detenuto, avrebbe incaricato addirittura il nipote, Giuseppe Mavrici, di riscuotere il denaro.

In un momento successivo, date le difficoltà nella riscossione, sarebbe intervenuto il fratello, Damiano Cianci, che avrebbe assunto le redini e la reggenza della cosca durante la detenzione del boss.

LA TANGENTE “ANTICIPATA” SUL MARCIAPIEDE

Domenico e Damiano Cianci e Mavrici devono rispondere anche di un’altra estorsione ad un imprenditore edile che aveva vinto un appalto pubblico per il rifacimento del marciapiede lungo il tratto di strada che dal bivio della SP01 (ex statale 111) conduce alla frazione di San Martino di Taurianova.

In questo caso, Domenico Cianci, già prima del suo arresto, avrebbe imposto le sue condizioni all’azienda esecutrice ancora prima che questa iniziasse i lavori.

Così la ditta, subendo il clima di intimidazione ingenerato dalla famiglia mafiosa, e per evitare problemi di qualunque genere come danneggiamenti, incendi, furti, ecc, sarebbe costretta a versare una somma imprecisata, come tangente, a favore delle “casse” dell’organizzazione.

Le intercettazioni avrebbero permesso anche di accertare che Domenico Cianci e Giuseppe Mavrici sarebbero i responsabili di una tentata estorsione ad un privato ma che non sarebbe andata a buon fine per la ferma opposizione della vittima.

Una’altra tentata estorsione viene contestata sempre a Ciancio e a Concettina Gligora, ai danni di un imprenditore del settore florovivaistico, costretto a consegnargli 5 mila euro.

Come detto, l’indagine avrebbe fatto emergere anche alcune responsabilità nel reato di intestazione fittizia di beni. Gli inquirenti si riferiscono al caso in cui Domenico Cianci, per scansare il sequestro e la confisca e per agevolare il riciclaggio dei proventi dell’attività estorsiva e di altri reati, avrebbe intestato a Rachela Cianci la titolarità di vari terreni di grande estensione, con annessi fabbricati rurali e che, il 20 giugno 2014 la donna avrebbe poi alienato a terzi a titolo oneroso.