Dopo 30 anni luce sull’omicidio del “Brigante”, ricostruiti i retroscena di una cruenta faida

Reggio Calabria Cronaca

Fu uno dei cruenti omicidi di una altrettanto sanguinosa faida scoppiata tra le cosche reggine dei Commisso e Costa, tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90.

Un fatto che risale a poco più di trent’anni fa, era infatti il 19 novembre del 1988. All’epoca 51enne (classe 1937), Vincenzo Figliomeni venne ammazzato a Siderno da un killer che gli esplose contro almeno tre colpi con un fucile da caccia caricato a pallettoni. Due andarono a segno attingendolo alla testa, al tronco ed agli arti e provocandogli delle gravi ferite al cervello e ai polmoni, causandone così la morte immediata.

La vittima, conosciuta come il “brigante”, era il padre di Angelo e Cosimo Figliomeni, chiamati anche loro “i briganti”, e attualmente latitanti in nord America, in Canada per l’esattezza.

Insomma, a distanza di ben 31 anni da quell’efferato omicidio gli investigatori ritengono oggi di essere arrivati a chi quell’assassinio l’avrebbe “deciso, organizzato ed eseguito”, con premeditazione, ed insieme ad un’altra persona ormai deceduta.

Proprio ieri gli uomini della squadra mobile reggina hanno così notificato in carcere una misura cautelare a carico di Tommaso Costa, 60enne ritenuto come un elemento di spicco dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta sidernese.

Al suo arresto gli inquirenti sono giunti dopo delle indagini, condotte sempre dalla mobile, sotto la direzione della Dda della città dello Stretto, con a capo il procuratore Giovanni Bombardieri, e coordinate dall’Aggiunto Giuseppe Lombardo e dai Sostituti della Dda Antonio De Bernardo (oggi in servizio alla Distrettuale di Catanzaro) e Giovanni Calamita.

Nella stessa inchiesta è indagata anche un’altra persone, Giuseppe Curciarello (a cui carico non è stata però emessa nessuna misura cautelare) in riferimento ad un altro omicidio, quello di Domenico Baggetta, avvenuto anche questo Siderno circa un mese dopo quello di Figliomeni, il 27 dicembre del 1988, quando la vittima fu freddata a colpi d’arma da fuoco.

“DON” ANTONIO E LA NASCITA DEL "SIDERNO GROUP OF CRIME"

L’assassinio contestato a Costa si inserisce - come accennavamo - nell’ambito della violenta faida tra i Costa ed i Commisso, durante la quale la ‘ndrina era guidata da Giuseppe Costa, che, anche dopo il suo arresto e successivamente alle sentenze di condanna arrivate in seguito al noto processo Siderno Group, avrebbe continuato a far parte del sodalizio, impartendo direttive e ricevendo, addirittura all’interno dello stesso carcere, le “doti” di ‘ndrangheta di livello provinciale, fino a quella del cosiddetto “quartino”, conferitogli nel 2007.

Giuseppe ha iniziato a collaborare con la giustizia nel 2012 e le sue dichiarazioni - utilizzate anche in diverse inchieste che hanno portato alla sbarra esponenti di spicco dei Commisso (ad esempio le operazioni “Crimine”, “Bene Comune-Recupero” e “Morsa sugli appalti”) - sono alla base della contestazione dell’omicidio formulata dai magistrati al 60enne.

Le affermazioni del collaboratore di giustizia, che sono state integrate dalle quelle di un altro collaboratore, Crocefisso Casalini (che era l’autista del gruppo e coinvolto nelle azioni di fuoco eseguite dai Costa), sono state oggetto di approfonditi riscontri effettuati dalla Mobile, sempre sotto le direttive della Dda.

Gli inquirenti sostengono così che storicamente, le famiglie criminali dei Costa, dei Curciarello, dei Commisso e dei Macrì, avrebbero costituito “un gruppo unitario” di ‘ndrangheta a Siderno ed il cui “capo indiscusso” sarebbe stato Don Antonio Macrì, che per primo avrebbe allacciato rapporti con le persone emigrate da Siderno negli Stati Uniti, in Canada ed in Australia.

Proprio durante la sua reggenza sarebbe nato il cosiddetto “Siderno Group of Crime”, ovvero, una struttura criminale attiva in Canada ed in Australia, ma dipendente direttamente dalla cosca madre della cittadina reggina.

Macrì venne ammazzato nel 1975, e nel corso degli anni il potere lo avrebbe preso Cosimo Commisso (classe 1950) detto “u quagghia”, alla cui famiglia si sarebbero alleati i Costa, fino all’omicidio di Luciano (fratello del collaboratore Giuseppe) ucciso a sua volta dai Commisso (il 21 gennaio del 1987) per vendicare un furto di armi avvenuto a casa di Cosimo Commisso.

IL COLLABORATORE CHE "INCASTRA" IL FRATELLO

Per gli inquirenti proprio questo omicidio avrebbe scatenato la sanguinosa faida, in cui va inquadrata l’uccisione di Vincenzo Figliomeni, legato ai Commisso, ed in relazione al quale la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria aveva assolto Giuseppe Costa, dopo la condanna comminatagli in primo grado.

L’omicidio - come accennavamo - avvenne nel novembre del 1988. Quella notte, davanti alla sua abitazione la vittima cadde nell’agguato a colpi di fucile a pallettoni.

Il collaboratore di giustizia, nel corso degli interrogatori, ha attribuito al fratello Tommaso Costa un ruolo decisivo nell’assassinio, dichiarando che sarebbe stato eseguito in concorso tra Tommaso e un altro soggetto affiliato ai Mazzaferro, all’epoca entrambi latitanti.

Le sue affermazioni si basavano sulle confidenze ricevute proprio da quest’ultimo soggetto, qualche settimana dopo l’omicidio.

Il Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, pertanto, ha ritenuto attendibili i racconti del collaboratore di giustizia, disponendo così la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del 60enne, notificatagli nel penitenziario di Viterbo, dove è attualmente detenuto.