Per recuperare i crediti i bergamaschi preferivano la ‘ndrangheta, in 19 in arresto

Reggio Calabria Cronaca

Il nome del blitz è tutto un programma, operazione “Papa”. Alla base uno spaccato preoccupante e forse nemmeno tanto “anomalo”; ovvero imprenditori non del lontano sud quanto invece del ricco e florido bergamasco che si sarebbero rivolti volontariamente e consci dello “spessoredelle persone con cui interloquivano, affinché queste agissero per loro conto recuperando i crediti che vantavano da terzi.

Su questo hanno indagato i carabinieri lombardi che oggi hanno fatto scattare le manette ai polsi di ben 19 persone, 16 finite in carcere e tre ai domiciliari (LEGGI).

L'INDAGINE è partita dai militari del Ros nel marzo del 2016, prendendo spunto da un’altra condotta - dal dicembre dell’anno prima - dai loro colleghi del Comando Provinciale di Bergamo a seguito di un incendio doloso avvenuto presso una società di autotrasporti, riconducibile ad un imprenditore bergamasco, e che interessò numerosi automezzi pesanti.

Dai primi approfondimenti investigativi emerse allora una forte attività concorrenziale tra la vittima ed una seconda azienda, anch’essa attiva nel trasporto di merci per conto terzi e gestita, di fatto, da un pregiudicato calabrese.

Per l’esattezza, entrambe le imprese eseguivano i trasporti per conto di una terza società, un’azienda ortofrutticola che, nel gennaio del 2016, decise di ridefinire i propri rapporti commerciali affidando tutto il pacchetto dei lavori ad un unico trasportatore, e per questo aveva chiesto alle due concorrenti un preventivo con la migliore offerta.

DALLA CALABRIA A BERGAMO, I RAPPORTI DEL CLAN

In questo contesto, nel febbraio dello stesso anno, i carabinieri di Bergamo avviarono una attività tecnica nei confronti dei due trasportatori intercettando una serie di conversazioni da cui si si ipotizzò il presunto coinvolgimento di alcuni calabresi arrivati a Bergamo per favorire uno dei due nell’aggiudicazione dell’appalto.

I soggetti vennero poi identificati come Carmelo Caminiti e Antonio Pizzi, ritenuti entrambi collegati alla cosca reggina dei De Stefano.

In particolare, il primo, con numerosi precedenti penali anche per associazione mafiosa, è il genero di Franco Michele e cognato di Carmelo Consolato Murina; mentre il secondo vanterebbe varie frequentazioni con persone pregiudicate e dalle intercettazioni emergerebbe si muovesse con Caminiti con funzioni di gregario.

Insomma, mentre i carabinieri proseguivano l’indagine relativa all’incendio doloso, il Ros si focalizzava proprio sulla figura di Caminiti, scoprendo che si sarebbe occupato del recupero crediti per conto di un’altra società bergamasca nel settore dell’ortofrutta (la F.lli Santini) in particolar modo gestendo i rapporti con i due fratelli titolari, Alessandro e Carlo Santini.

In quest’ambito gli inquirenti arrivarono a riscontrare che Caminiti non solo sarebbe subentrato “nell’agire illecito all’indomani dell’arresto del suo presunto socio in affari, Paolo Malara, ma avrebbe intrattenuto numerosi rapporti con imprenditori commercialmente legati ai Santini per farli rientrare dei crediti vantati e con metodi tipicamente ’ndranghetistici, tali da configurare anche i reati di estorsione commessa “in un vero e proprio contesto di associazione a delinquere di tipo mafioso”.

La prosecuzione delle indagini svolte dal Ros ha portato a ritenere che Carmelo Caminiti, muovendosi tra la Calabria e la Lombardia insieme ad altri soggetti di volta in volta identificati (Demetrio Andrea Battaglia, Carmelo Caminiti cl 1986, Michele Fabio Caminiti, Anna Maria Franco, Paolo Malara, Antonio Pizzi, Antonio Francesco Pizzimenti, Maurizio Schicchitani, Sergio Malara, Antonio Rago, Felice Sarica) fosse in pratica un “referente qualificato” di un’organizzazione ‘ndranghetista che si occupava appunto del recupero crediti e di estorsione.

La costanza nel monitoraggio dell’uomo farebbe poi emergere un modus operandi definito particolarmente rodato” che avrebbe visto gli imprenditori lombardi del commercio ortofrutticolo (Alessandro e Carlo Santini) cercare volontariamente le prestazioni dei presunti associati per rientrare dei crediti vantati, secondo gli inquirenti “nella piena consapevolezza che l’atteggiamento dei recuperatori si andava inserendo in una condotta tipicamente mafiosa e violenta”.

GLI EPISODI, TRA MANDANTI E ESECUTORI

Le acquisizioni investigative dell’Arma bergamasca e del Ros avrebbero così consentito alla Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia di fare piena luce su alcuni episodi.

In primis, sull’attentato incendiario ai danni dell’impresa di trasporti di Seriate (BG) i cui responsabili sono ritenuti essere Giuseppe Papaleo, come mandante; Domenico Lombardo, Mauro Cocca e Giovanni Condò, ritenuti gli esecutori materiali e Vincenzo Iaria considerato il reclutatore di Condò e Cocca.

Gli inquirenti avrebbero poi qualificato come un tentativo di estorsione aggravato dal metodo mafioso le condotte dell’imprenditore di trasporti di Seriate, in pratica considerandolo come il mandante; Carmelo Caminiti (Cl. 61), Antonio Pizzi e Antonio Rago, invece ne sarebbero stati gli autori materiali minacciando Giuseppe Papaleo per costringerlo a rinunciare al suo rapporto privilegiato con la società ortofrutticola.

Si sarebbe poi cristallizzata” l’esistenza di un’associazione ‘ndranghetista attiva sul territorio nazionale, in particolare nel bresciano, caratterizzata da una sua autonomia programmatica, operativa e decisionale rispetto ad altre cosche calabresi” (in particolare i Franco e i Tegano-De Stefano) a cui sarebbe stata legata da rapporti “soggettivi e federativi”.

Organizzazione che avrebbe commesso diversi reati contro il patrimonio e la persona, come estorsioni, violenze e minacce, appunto.

IL RUOLO DI PAOLO MALARA

Secondo gli inquirenti di questa struttura avrebbero fatto parte Paolo Malara, come promotore, organizzatore e capo, occupandosi di compiere le estorsioni con la forza di intimidazione che sarebbe derivata dalla sua presunta appartenenza alla ‘ndrangheta.

Secondo la tesi Malara avrebbe ottenuto così dei guadagni poi riversati a favore dell’associazione, anche utilizzando delle ricariche di carte Postepay intestate ad associati.

Ed anche nel corso della sua detenzione – iniziata nel dicembre 2014 – l’uomo avrebbe mantenuto i contatti con gli associati tramite il fratello Sergio, contribuendo così a proseguire le attività

IL RUOLO DI CARMELO CAMINITI

Quanto a Carmelo Caminiti (cl. 61) anch’egli viene indicato come un “promotore, organizzatore e capo dell’associazione”. Il suo compito sarebbe stato quello di compiere le estorsioni e dirigere i partecipi nella esecuzione degli incarichi che venivano loro affidati.

I RUOLI DEI PARTECIPI

Tra i soggetti ritenuti invece come i partecipi dell’associazione, gli inquirenti identificano Demetrio Andrea Battaglia, che avrebbe aiutato Malara e Caminiti nelle estorsioni andando dalle vittime, sollecitando o facendosi consegnare dalle stesse il denaro, ricevendo dagli altri partecipi o riversando loro le somme di denaro sempre col sistema delle Postepay. Battaglia avrebbe inoltre fatto da autista a Carmelo Caminiti (cl. 61), tenendolo sempre informato sull’andamento degli affari, compiuti anche con con altri presunti partecipi (come Carmelo Caminiti cl. 86); e comunque avrebbe svolto ogni compito affidatogli nell’interesse del gruppo.

Un altro nome è quello di Maurizio Scicchitani: secondo gli investigatori avrebbe aiutato Malara e Caminiti sempre nelle estorsioni, andando dai mandanti e dalle vittime, sollecitando e facendosi consegnare dalle stesse il denaro, e facendo anche lui da autista a Caminiti (cl. 61).

Quanto ad Antonio Francesco Pizzimenti anch’egli avrebbe aiutato Caminiti nelle estorsioni, andando su sua indicazione dalle vittime per riscuotere le somme per conto del sodalizio o sollecitarne il pagamento.

Antonio Pizzi sarebbe stato poi l’autista di Carmelo Caminiti accompagnandolo in auto in tutti i suoi spostamenti al centro-nord Italia svolgendo anche ogni compito affidatogli.

Anche al nipote di Caminiti, Carmelo (cl. 86) sarebbe spettato il compito di accompagnare lo zio nei suoi viaggi al centro-nord, ma anche di riscuotere le estorsioni così come di ricevere sulla sua carta Postepay i guadagni ottenuti dagli altri appartenenti all’associazione, tenendo aggiornato lo zio sull’andamento degli affari.

Ad accompagnare Caminiti, poi, anche il figlio Michele Fabio: a lui viene anche additato di ricevere sulla sua Postepay i proventi con delle ricariche che sarebbero state effettuate direttamente dalle vittime o con dei versamenti eseguiti dai correi, tenendo anch’egli informato il padre sull’attività.

Infine la moglie di Caminiti, Anna Maria Franco, in aiuto del coniuge nella commissione delle estorsioni, ma soprattutto la donna si sarebbe occupata di tenere la “contabilità” dell’attività illecita, facendola arrivare al marito e così offrendogli un quadro preciso della situazione, per così dire, degli “incassi”.

Insomma gli investigatori si dicono certi di aver scoperto diverse estorsioni nei confronti dei creditori della società dei fratelli Santini e commesse da diversi presunti appartenenti al gruppo, e ritenendo gli stessi imprenditori, come dicevamo, i mandati delle stesse.

Quanto al reato di riciclaggio, viene contestato a Carmelo e Michele Fabio Caminiti, e a Anna Maria Franco proprio in funzione del fatto che avrebbero ricevuto sulle loro Postepay le somme provento delle estorsioni.

Si sarebbe poi dimostrata una intestazione fittizia di beni aziendali da parte di Felice Sarica per eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale.

GLI ARRESTATI

I 16 sono tra le sbarre sono in particolare: Demetrio Andrea Battaglia; Carmelo Caminiti, cl. 86; Michele Fabio Caminiti; Anna Maria Franco; Paolo Malara; Antonio Pizzi; Antonio Francesco Pizzimenti; Alessandro Santini; Carlo Santini; Maurizio Scicchitani; Carmelo Caminiti, cl. 61; Giuseppe Papaleo; Domenico Lombardo; Giovanni Condò; Mauro Cocca; Vincenzo Iaria. Ai domiciliari, invece, Sergio Malara; Antonio Rago; Felice Sarica.