Integrazione Pugliese Ciaccio-Mater Domini: Cdm dice no e impugna la legge
La presidenza del Consiglio dei ministri ha deciso di impugnare davanti la Corte costituzionale la legge 6/2019 della Regione Calabria sull’integrazione tra le aziende ospedaliere di Catanzaro, “Pugliese-Ciaccio” e “Mater Domini”, azienda ospedaliera universitaria.
Secondo il presidente del Cdm la formulazione della legge regionale configura la costituzione di “una nuova azienda ospedaliero-universitaria ma questo può avvenire, in base alle norme vigenti, secondo un procedimento diverso, a mente del quale la proposta regionale di istituzione di una nuova azienda ospedaliero-universitaria, formulata, d’intesa con l’Università, al ministro della Salute, è da questa a sua volta sottoposta all’esame del Consiglio dei ministri, che delibera autorizzando la Regione, con decreto presidenziale, a costituire la nuova azienda ospedaliero-universitaria.”
L’Avvocatura dello Stato motiva il ricorso spiegando che “questa parte della legge regionale viola il limite imposto dall’articolo 117 comma 3 Costituzione alla potestà legislativa regionale nelle materie di legislazione concorrente”.
L’impugnazione investe anche l’articolo 1 comma 3 della legge sull’integrazione, laddove si prevede che “entro 90 giorni dall’entrata in vigore della stessa sono definiti i rapporti tra la Regione Calabria e l’Università di Catanzaro in materia di attività integrate di didattica, ricerca e assistenza mediante protocollo d’intesa sottoscritto dal presidente della Giunta regionale, dal Rettore dell’Università e dal commissario ad acta”.
Secondo il presidente del Consiglio dei ministri, questa disposizione è “costituzionalmente illegittima” perché “interferisce con i compiti del commissario”, al quale soltanto, e non anche alla Regione, il Dpcm di nomina del 7 dicembre 2018 assegna l’incarico di stipulare il protocollo d’intesa con l’Università.
Il presidente del Cdm, inoltre, impugna la norma della legge regionale che inserisce nell’integrazione delle aziende di Catanzaro anche il presidio ospedaliero Giovanni Paolo II di Lamezia Terme perché – è scritto nel ricorso alla Corte costituzionale – è un “accorpamento non contemplato né dal Programma operativo vigente né dai decreti commissariali emanati”, che “contrasta con il principio di coordinamento della finanza pubblica”.