Operazione Tisifone, ritorna in carcere 35enne. È accusato di associazione mafiosa
È accusato di associazione di tipo mafioso, Rocco Devona, e per questo è finito in manette. Gli agenti di Polizia hanno arrestato il 35enne, nell’ambito delle indagini che, portate avanti dalla mobile di Crotone e dal Servizio centrale Operativo, sotto l’egida della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, hanno fatto scattare le manette per 23 persone, accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione, tentata rapina, incendio, porto e detenzione illegale di armi e munizioni e illecita concorrenza con minaccia aggravata dal metodo mafioso. Il tutto nell’ambito dell’operazione conosciuta come “Tisifone” (QUI).
Il 17 luglio, è stata quindi depositata la nuova decisione del Tribunale del Riesame che ha ripristinato la misura cautelare emessa a dicembre nei confronti di Devona riconoscendo la gravità indiziaria degli elementi acquisiti nel corso dell’indagine svolta dalla Procura Distrettuale e dalla Polizia di Stato per l’ipotesi di reato di associazione mafiosa.
Gli arresti, disposti dalla Dda di Catanzaro, a firma di Nicola Gratteri, del Procuratore aggiunto Vincenzo Luberto e dei sostituti Paolo Sirleo e Domenico Guarascio, sono stati effettuati nel corso dell’indagine che ha riacceso i riflettori sulle nuove dinamiche criminali operanti sul territorio di Isola di Capo Rizzuto venutesi a creare a seguito dell’operazione Jonny (QUI).
Entrando nel cuore del territorio isolitano sono state scoperte nuove alleanze, nuovi equilibri che sono stati creati o che stavano per esserlo, ma soprattutto le nuove tensioni che, dopo i numerosi arresti operati, stavano emergendo, dettate dalla volontà di imporre il proprio potere e controllo su Isola.
In particolare sono emersi due fronti contrapposti, da un lato i Capicchiano, con a capo Salvatore Capicchiano, desiderosi di affermare il loro monopolio nella gestione del settore delle gioco illegale mediante l’imposizione e la gestione delle loro slot machine in diversi bar ed esercizi commerciali; dall’altro i Nicoscia con al vertice Antonio Nicoscia, figlio di Pasquale, alias Macchietta, i Manfredi e i Gentile non concordi su tale esclusività e sulla ascesa totalizzante e non condivisa dei Capicchiano.
La conseguenza degli attriti è stata un’escalation di violenza che ha portato entrambe le parti alla pianificazione di omicidi ai danni della fazione opposta.
Proprio la progettazione di quei gravissimi reati portò all’accelerazione dell’indagine con l’adozione del provvedimento di fermo e al conseguente arresto nei confronti degli indagati.
L’indagine ha consentito, tuttavia, anche di documentare i rapporti con le diverse famiglie di ‘ndrangheta e in particolare con la cosca Megna di Papanice e con quelle del petilino.
È stata infatti documentata l’estorsione ai danni di un noto locale a Le Castella, e la celebrazione di diversi riti di affiliazione, finalizzati al rafforzamento delle file della cosca, che vide a partecipazione o il “portare in copiata”, secondo precisi rituali, i vertici delle cosche del crotonese, tra cui i Megna, di Isola Capo Rizzuto e del petilino.
Proprio l’estorsione e la celebrazione dei riti sono state contestate al tempo a Devona da parte della Procura Distrettuale, il quale, dopo il suo arresto è stato scarcerato a seguito della decisione del Riesame.
La Distrettuale ha presentato ricorso per Cassazione, contro la decisione del Tdr, che è stato accolto rinviando a un nuovo esame.