Due “famiglie”, due “teste” ed un unico obiettivo: il controllo delle Serre catanzaresi

Catanzaro Cronaca

Due famiglie alleate, al vertice altrettante “teste”, due di teste, come il cane Orthrus della mitologia greca. Proprio da qui il nome voluto dagli inquirenti per un’inchiesta su altrettanti clan, gli Iozzo ed i Chiefari, legati anche da vincoli familiari, stretti insieme, quasi in un unico corpo, per gestire e imporre il proprio potere sull’area delle Serre catanzaresi, in particolare le popolose cittadine di Chiaravalle Centrale, Cardinale e Torre di Ruggiero.

Questa la tesi sostenuta dalla Dda di Catanzaro, diretta dal procuratore Nicola Gratteri, e che stamani ha fatto scattare le manette per 17 persone, mentre sono quasi una trentina, 29 per la precisione, quelle indagate, di cui una dozzina a piede libero (QUI).

I reati contestati vanno dall’associazione mafiosa, all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, dall’omicidio all’estorsione fino alla detenzione di armi.

Un’indagine che avrebbe decapitato le due famiglie, appunto quello degli Iozzo-Chiefari, federati ai Gallace di Guardavalle, portando in carcere le due “teste” di cui accennavamo, ovvero i presunti capi dei rispettivi sodalizi: Mario “Marino” Iozzo e Antonio Chiefari.

Un notevole apporto alle investigazioni è stato portato anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, in particolare quelle di Domenico Todaro.

Sarebbe stato proprio lui ad aprire uno spaccato sulla prima famiglia, gli Iozzo, definita un gruppo criminale autonomo nella zona di Chiaravalle e con a capo appunto “Marino”.

Così come avrebbe raccontato agli inquirenti, durante gli interrogatori, della presunta affiliazione alla cosca Gallace di tutti i fratelli: da Mario appunto, fino a Luciano, Pino, Gianfranco e Saverio.

Altri dettagli quelli invece forniti dal collaboratore Gianni Creterola: ammettendo di far parte della ‘ndrina di Gagliato, capeggiata da Massimiliano Sestito, avrebbe spiegato come questa sarebbe stata alle dipendenze del “Locale” di Serra San Bruno, con a capo, invece, il defunto Damiano Vallelunga.

“Locale” di cui - sempre stando alle dichiarazioni di Creterola - facevano parte i comuni di Soverato (con a capo ‘ndrina Vittorio Sia), quello di Chiaravalle Centrale (con a capo gli Iozzo); quello di San Sostene (con i Lentini e i Procopio); di Torre di Ruggiero (con i Chiefari e a capo Antonio); e di Vallefiorita (con i Bruno).

IL NUCLEO DELLE DUE FAMIGLIE

Secondo la Dda il nucleo familiare degli Iozzo sarebbe costituito dai fratelli Mario, Giuseppe Gregorio, Luciano e Gianfranco, ed un ruolo rilevante avrebbe avuto anche il figlio del primo, Raffaele Iozzo.

Una famiglia che avrebbe avuto disponibilità di armi (sia comuni che da guerra) e che si sarebbe impegnata nel redditizio settore delle estorsioni a commercianti e imprenditori boschivi oltre che in quello del traffico di droga.

Quanto ai Chiefari, invece, il punto di riferimento - come dicevamo prima - sarebbe stato Antonio, insieme ai figli Vito, Pietro Antonio, Domenico Giuseppe e Nicola.

Gli investigatori sostengono che gestissero diverse attività imprenditoriali, per lo più nel settore degli scavi e movimento terra, oltre che in quello agricolo, controllando il territorio di Torre Ruggiero, grazie alla forza intimidatrice che derivava dal vincolo associativo, e consentendogli così di interferire nelle attività economiche della zona, in particolare sulle grandi opere riferite alla realizzazione della “Trasversale delle Serre”.

Quanto a quest’ultimo elemento, stando sempre alle dichiarazione dei collaboratori di giustizia, il tutto sarebbe avvenuto attraverso la stipula di contratti di noleggio di macchinari all’Ati aggiudicatrice dell’appalto, ed effettuati per il tramite di una società ritenuta riconducibile sempre ai Chiefari.

Inoltre, avrebbero gestito il business degli spazi alla fiera della Madonna delle Grazie di Torre Ruggiero imponendo e dettando le proprie regole.

L’EX SINDACO INDAGATO

Tra gli indagati nell’inchiesta, poi, compare anche il nome dell’ex sindaco di Torre Ruggiero, dal 2006 al 2015, Giuseppe Pitaro, 55 anni, per il quale la Procura antimafia aveva chiesto il carcere, richiesta rigettata però dal Fip. Pitaro, che ha ricoperto il ruolo di primo cittadino dal 2006 al 2015. A carico dell’ex amministratore si ipotizza il concorso esterno in associazione mafiosa.

Un’accusa da cui Pitaro si è subito difeso pubblicamente, sostenendo di aver appreso “con profondo dispiacere”, del suo coinvolgimento, dicendosi compiaciuto che il giudice per le indagini preliminari, dopo avere esaminato la sua posizione, abbia “accertato e riconosciuto la mia totale estraneità ai fatti oggetto dell’indagine”.

“Negli anni in cui ho svolto la funzione di sindaco – ha tenuto a precisare - ho profuso il mio impegno per dare una mano ad una comunità angustiata da tante criticità vecchie e nuove e l’ho fatto attenendomi scrupolosamente alle prerogative in capo all’organo politico e senza mai travalicarle, cosi come ha accertato il gip nel suo provvedimento”.

“La mia biografia, assolutamente specchiata - ha concluso Pitaro - mi porta ad apprezzare le iniziative giudiziarie di contrasto al fenomeno criminale, pur segnalando, tuttavia, l’esigenza costituzionale che siano esaminate con il dovuto rigore le singole posizioni processuali al fine di non scalfire la dignità di persone anni luce distanti da illegalità e comportamenti ripugnanti”.

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