Accademia dei Bronzi, ecco i poeti selezionati per il “Calendario arte e poesia 2020”

Reggio Calabria Tempo Libero

Arte e poesia sono un accostamento vincente, quando a promuoverle è l’Accademia dei Bronzi, associazione culturale fondata e diretta da Vincenzo Ursini. A ricordarci questo felice connubio è la pubblicazione di un bel calendario, giunto alla IX edizione, la cui presentazione - organizzata con l’adesione dell’associazione “Teura” - si terrà sabato 7 dicembre, alle 15,30, nella Sala delle Culture di Tiriolo, a tal fine concessa dal sindaco Domenico Stefano Greco. Appuntamento annuale, quindi, molto atteso tra gli addetti ai lavori perché il calendario viene distribuito gratuitamente. Nei giorni scorsi l’Accademia dei Bronzi ha scelto le poesie di 32 autori che il prossimo anno affiancheranno 16 opere pittoriche di altrettanti artisti in corso di selezione.

Questi i poeti e le motivazioni critiche: Rosy Angotti (Catanzaro), con la lirica “È amore”. L’improvvisa scoperta del sentimento riesce a risvegliare gli stati d’animo più positivi, spingendo l’autrice a celebrare la vita. Il proposito è ribadito per tre volte nella frase "è amore!"; Antonina Barraco (Garbagnate Milanese) con la lirica “Poesia delle stagioni”: “una scena per ogni mese dell’anno, a fare da corollario a una storia d’amore che sembra non volere mai finire di sorprendere”; Mariella Bernio (Brugherio), con “I cieli di marzo”.

“Nel componimento il topos dell’arrivo della primavera è associato a quello dell’amato. La sua presenza è rarefatta, come se il suo spirito aleggiasse sui gerani in fiore e sulle rose”; Sabina Biasuzzo (Mestre) con “Notte di quasi primavera a Venezia”: qui “la sonnacchiosa presenza di Venezia fa da sfondo a un molle abbandono. Quasi che la sua acqua palustre sia un’anticamera dell’agonia ma al tempo stesso foriera di primavera, che tornerà e recherà qualcosa di buono alla protagonista”; Massimo Bocotti (Lodi), con la lirica “Gli occhi, specchio del cuore”. “Un’immagine vivida: il marchio del proprio nome impresso nel cuore dell’altra persona, su cui si riflettono gli astri e capace di portare luce, come di far sprofondare nell’estasi”.

Giuseppe Brunasso (Santa Maria Capua Vetere), con “La tua ombra su di me”. “Forse un albero secolare, cui l’autore si rivolge, come a lodarne le virtù della tenacia e della fierezza e la capacità di percorrere silenziosamente il tempo e di osservare le vicende attorno a sé, forse parlando un linguaggio inintellegibile all’uomo”; Sergio Camellini (Modena) con “Lasciami di te un’emozione”, “elegante poesia, nella quale l’amante fa alla propria cara alcune richieste di gesti affettuosi: un bacio, una carezza o alcune parole; segni che vengono infine paragonati a un fiore, il cui nucleo è la corolla, segno dell’amore più completo”; Teresa Carnì (Catanzaro) con “Il tempo”. “Riflessione esistenziale sul tema filosofico del tempo che passa: esso modella ogni cosa, guarisce, trasforma, invecchia, veicola la dualità che è nell’esistenza”. Salvatore Codamo (Catanzaro) con la lirica “La vera gioia”, “componimento toccante, che attraverso alcune vivide immagini riesce a rendere la passione che spesso resta celata nelle persone, rendendole come maschere di cera”.

Ed ancora: Maria Rosaria Colicchio (Napoli) con “Scena estiva”: “delicato ed evocativo componimento, in cui la spiaggia deserta al tramonto fa da cornice silenziosa all’atto d’amo che va in scena nel mare: l’amato è la distesa delle acque e l’amante un’onda, che sempre si muove sulla superficie”; Annalinda De Toffol (Ospedaletto Euganeo) con la lirica “Agosto”. “Il mese di agosto è qui accostato all’ultimo attimo di una gaiezza, in buona parte illusoria, di chi cerca l’ultimo momento di allegria per la propria esistenza”. Marino D’Urso (Bisceglie) con la lirica “Preghiera di grazia: un’invocazione confidenziale rivolta al Cristo, attraverso le parole: “ascoltami un po’”, per un proprio fratello, accostato a Simone di Cirene, colui che nei vangeli porta fisicamente la croce assieme a Gesù”; Maria Carmela Errico (Crispiano) con “Il tributo. “In poche righe è narrato il percorso dell’anima, dalla sofferenza all’estasi. Il ritmo della poesia è serrato, i versi brevi rendono l’idea di qualcosa d’improvviso, di un evento inatteso che sconvolge e travolge”; Ferrara Iolanda Erminia (Cologno Monzese”, con “Binario 21”: è il binario 21 della Stazione Centrale di Milano, quello dal quale, dal dicembre del 1943, incominciarono a partire i convogli di ebrei e persone sgradite al regime dirette ai campi di sterminio”.

Nuccia Parrello Fratto (Catanzaro) con la lirica “Radici”: “toccante poesia, che mostra un breve ritratto dipinto da un figlio per la propria madre: una donna forte, che già ventenne allatta, triste, il proprio bambino con sullo sfondo il cielo notturno; infine un accenno all’amore per la vita che ella ha saputo trasmettergli”. Silvia Giampà (Merone) con la lirica “Fili di cera”: “brevi immagini di una vita un po’ sfarzosa, ritratta nelle forme più frivole, immortalate nelle unghie laccate di rosso, nelle tazzine argentate, come a voler porre l’accento su qualcosa di superfluo che ci accompagna nella rievocazione, mentre dimentichiamo la nostra vera essenza”. Annamaria Guidi (Foligno) con “I miei pensieri”. “I pensieri qui sono dinamici e paragonati a vari oggetti: ora foglie di farnia, ora gocce che bagnano le foglie dei tigli, ora nuvole che irrorano i sogni, infine luce che accompagna la persona amata”; Rosella Lubrano (Melazzo) con la lirica “Tienimi per mano”. La poetessa fa una richiesta: essere tenuta per mano, di stare assieme quando metaforicamente il sole scompare e i dubbi prendono il sopravvento, di essere portata nei luoghi più cari su paesaggi di alberi e di scogliere che commuovono gli occhi”; Franco Maccioni (Scano di Montiferro) con “Che sera…”. “Il freddo invernale e il clima avverso su un paesaggio marino riescono, in compagnia della persona amata, a tramutarsi in luogo piacevole”.

Marinella Manca (Milano) con la lirica “Ce ne andremo”: un inno alla fratellanza, di fronte all’incapacità di vivere una vita vera e autentica: c’è il desiderio di raddrizzare il timone, di ritrovare la retta via, nell’umiltà, simile a quella di Cristo”; Francesca Misasi (Vicenza) con “Foglie d'autunno”. Le foglie che cadono d’autunno, sono per la poetessa come i simulacri di qualcosa che non c’è più, provano a spiccare il volo ma non riescono a produrre più di un vortice d’aria. Resta lo scarno ramo, paragonato all’esistenza umana quando giunge alle porte della senilità”. Rosita Panetta (Torino) con la lirica “Autunno”. “C’è un sentimento ambivalente di fronte all’incedere dell’autunno, portatore di sole e di bei colori, in una dimensione sognante ma preludio del freddo inverno”; Laura Parducci (Milano) con “Femminicidio”. “Una scena cruda, rappresentata in tutto ciò che un femminicio può essere: la crudeltà efferata dell’uomo che cessa di essere tale e si mostra bestiale”. Rossella Parrini (Portoferraio) con la lirica “Le donne”. “La liberazione delle donne in un immaginario in cui possano sentirsi protette dalla tirannia maschile, che spesso ne abusa, senza riuscire a riconoscerne la delicatezza intrinseca”.

Rocco Pedatella (Trezzano sul Naviglio) con “A mio padre”: bella dedica filiale, nella quale, attraverso una sequenza di aggettivi associati al dolore fa da contrasto la forza dell’amore di un padre che non smette di amare la propria prole fino alla fine”. Anna Rachele Ranieri (Terzigno) con la lirica “Eccomi, Signore!”. “Una dichiarazione di resa di fronte all’incontro con l’Onnipotente. L’autrice racconta, quasi elencandoli, i suoi tentativi di ribellione, di rinnegamento e di oblio della fede, tutti non portati a compimento”. Lolita Rinforzi (Assisi) con la lirica “Stelle cadenti”. “Un invito a vivere una vita a colori. Le persone malevole non riescono a capire l’importanza della poesia e cercano di spegnerla nel cuore di chi la coltiva, ma l’invito è a non desistere, a far sì che quanto c’è di bello nell’esistenza possa essere perseguito senza timori”; Salvatore Ritrovato (Girifalco) con “Ricordi”: un breve componimento, quasi di estasi: l’uomo che chiude gli occhi e gli sembra di vedere quelli dell’amata, il respiro diventa quello di lei e poi al risveglio, avvinti, gustare lo stupore che l’amore dona alla coppia”.

Giuseppe Sinopoli (San Vito sullo Jonio) con la lirica “Greppia di ruscello”. “Poesia che è un inno alla purezza, un insieme di metafore incalzanti, riverberate dagli aggettivi: muschio, rugiada, sentimenti, neve, cavallo. Un insieme affastellato d’immagini che rendono l’idea di un’anima in tempesta, che cerca disperatamente di salvarsi dal putridume dell’esistenza”; Caterina Tagliani (Sellia Marina) con la lirica “Quando scriverò di te”. Una celebrazione in opposizione alle parole del silenzio, inteso come misura di tutto ciò che d’intangibile e di vero, profondo e sublime possa esistere tra due persone. Maria Teresa Talarico (Cuturella di Cropani) con la lirica “Nel dimenticatoio della vita”. “Come uno specchio che riflette, una persona parla, sul filo del doppio senso, del mondo che l’ha dimenticata. In opposizione all’aver tanto dato, c’è l’amarezza di chi si accorge di essere stata non ricambiata; Sonia Vivona (Rende) con “Mattino di gennaio”. Un’immagine di un paesaggio invernale, in cui l’arrivo del sole mattutino riesce a sciogliere i cristalli notturni sulla vegetazione e ammorbidisce il cuore della protagonista, facendola riaprire alla vita e alle emozioni”.