Traffico di armi tra clan pugliesi e ‘ndrangheta: in manette due esponenti dei Pesce-Bellocco

Reggio Calabria Cronaca

Una vasta operazione - condotta dalla Squadra Mobile di Foggia e dai finanzieri del GICO di Bari - è scattata all’alba di oggi tra la Puglia, Calabria, Abruzzo, Molise, Lazio e Piemonte.

In manette sono finite ben 24 persone - dimoranti sia in provincia di Foggia che nelle restanti regioni - ritenute contigue alla criminalità organizzata garganica e lucerina, oltreche alla ’ndrangheta e alla camorra.

Tra i destinatari del provvedimento restrittivo, nove sono appartenenti a due distinte organizzazioni criminali dell’area garganica: il “clan Li Bergolis” che oggi sarebbe capeggiato da Enzo Miucci, classe 1983, detto “u criatur”, e il clan lucerino Bayan-Papa-Ricci, il cui elemento di spicco sarebbe Alfredo Papa, classe 1958.

DUE CALABRESI IN ARRESTO

Arrestati anche due soggetti ritenuti vicini alla “ndrina” calabrese facente capo alle famiglie “Pesce-Bellocco” e che opera a Rosarno e Torino.

Si tratta di: Benito Palaia, 40enne, e del suo presunto sodale e referente in Piemonte, Luca Fedele, 37enne, che avrebbero stretto rapporti di affari con l'organizzazione criminale di Monte Sant’Angelo per la compravendita di partite di droga e la fornitura di armi.

Arrestati anche 13 clienti-pusher dei gruppi criminali di Monte Sant’Angelo e Lucera, che provvedevano a collocare lo stupefacente - periodicamente acquistato dai garganici e dai lucerini - presso la loro clientela in vari comuni dell’Italia centro-meridionale.

Il nome dell’operazione – denominata “Friends” – prenderebbe spunto da un legame di “amicizia” che si sarebbe venuto a creare tra gli esponenti delle consorterie criminali egemoni sul territorio italiano.

LE INDAGINI

L’attività investigativa, diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Bari, trae origine da un’altra indagine sulle pressioni esercitate dalla malavita foggiana su imprenditori locali attivi nel campo della trasformazione di prodotti agricoli, affinché assumessero alle loro dipendenze soggetti pregiudicati dediti a spacciare stupefacenti ad assuntori sulla piazza di Foggia e che, a loro volta, si rifornivano della sostanza da appartenenti al clan lucerino.

Proprio tale ultima evidenza ha spostato il baricentro delle indagini sul fiorente traffico di stupefacenti gestito dall’omonimo clan, capeggiato dal menzionato Alfredo Papa, aiutato da quelli che sono ritenuti dei suoi sodali: Antonio Valerio Pietrosanto, classe 1968, Francesco Ricci, classe 1970 e Urbano Petito, classe 1954, tutti destinatari del provvedimento cautelare personale.

Le indagini, oltre a disvelare l’intenso traffico di sostanze stupefacenti della compagine riconducibile ai Li bergolis su scala nazionale, ha rivelato la disponibilità di armi da parte degli stessi: infatti, sono state sequestrate tre pistole semiautomatiche, un silenziatore e trentasei cartucce che il presunto boss Enzo Miucci avrebbe ritirato a Torino dai due esponenti della cosca calabrese.

Non si esclude che le armi potessero servire ad affermare e consolidare la propria egemonia criminale nel territorio garganico, in cui operano diversi gruppi delinquenziali frammentati ed in continuo conflitto tra loro per la spartizione delle zone in cui esercitare le loro attività illecite ma anche privi di un forte, indiscusso vertice aggregante.

L’attività di oggi, dunque, ha inflitto un duro colpo allo storico clan “li Bergolis”, da anni impegnato in una sanguinosissima faida, tuttora in atto, contro la fazione facente capo ai “Romito-Ricucci-Lombardi”.

In parallelo alle attività “classiche” di polizia giudiziaria, necessarie ad acquisire i riscontri finalizzati a corroborare il quadro accusatorio nei confronti degli indagati, con la collaborazione degli specialisti del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza sono state condotte anche delle sofisticate investigazioni economico-finanziarie tese a ricostruire tutte le posizioni economico-patrimoniali riferibili agli ndagati e ad altri che fungevano da prestanome per i negozi giuridici relativi ai beni indirettamente posseduti dai primi.

Ciò ha permesso di sottoporre a sequestro beni risultati nella disponibilità dei coinvolti per un valore complessivo di due milioni di euro e consistenti in 10 immobili, 3 autovetture, 2 aziende operanti nel settore del commercio di autoveicoli e 63 rapporti finanziari.