Anassilaos: “Vittorio Emanuele II e l’invenzione della monarchia in Italia”

Reggio Calabria Attualità

Vittorio Emanuele II e l’ “invenzione” della monarchia in Italia” nel Bicentenario della nascita di Vittorio Emanuele II (1820-1878) è stato il tema Di una conversazione del Prof. Antonino Romeo svoltasi presso lo Spazio Open promossa dall’Associazione Culturale Anassilaos disponibile da giovedì 20 agosto sul sito Facebook di Anassilaos e su You Tube.

Quantunque l’istituto monarchico costituisca oggi nel mondo una realtà residuale per quello che esso significa, e cioè il privilegio ereditario che confligge, nella società moderne, con i valori meritocratici, è opportuno, a duecento anni dalla nascita, analizzare la figura di Vittorio Emanuele II, primo Re d’Italia, intorno al quale, nel momento stesso in cui venne proclamata l’Unità del Paese, il 17 marzo del 1861, venne a fondarsi un ideale monarchico quale elemento unitario e aggregante per un Italia che mancava di questi momenti, mitici e fondativi, se non su base regionale come poteva essere la Battaglia di Legnano per i Comuni della Lombardia o i Vespri per la Sicilia.

Questa “invenzione” monarchica accompagnò del resto la storia del Paese per oltre 85 anni fino al Referendum del 2 giugno 1946 anche se una prima grave cesura si era consumata tre anni prima, l’8 settembre del 1943, con la precipitosa fuga da Roma di Vittorio Emanuele III e della famiglia reale. Ma perché, si chiede il relatore, fu proprio questo re di Piemonte, uno stato eccentrico rispetto alla Penisola, culturalmente arretrato e governato nell’Ottocento, almeno fino a Carlo Alberto, da sovrani reazionari e conservatori (Vittorio Emanuele I, Carlo Felice) ad incarnare questo mito monarchico rispetto ad altri regni e sovrani quali il Regno delle Due Sicilie e, ad esempio, Ferdinando II di Borbone? La risposta sta forse nella funzione che il Piemonte svolse nel corso della sua storia come stato cuscinetto tra Francia e Spagna e poi tra Francia e Spagna, dalla Pace di Cateau-Cambrésis (1559) al Congresso di Vienna (1814-1815). A questo si aggiunse con Carlo Alberto la concessione, nel 1848, dello Statuto Albertino ovvero lo Statuto del Regno o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia che con l’Unità divenne la Carta della nuova Italia e tale rimase fino al 1° gennaio del 1948, anno dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Quella Carta Costituzionale che Ferdinando II concesse al suo popolo e in breve ritirò, Carlo Alberto la mantenne. Si trattava di una carta “ottriata”, cioè concessa ai sudditi dal sovrano, composta di 81 articoli, i cui primi 22 trattavano della figura e delle funzioni del sovrano al quale venivano attribuiti poteri superiori a quelli del Parlamento di cui Carlo Alberto, e i suoi successori, potevano di volta in volta servirsi nel corso della storia, come avvenne nel 1915, quando ai sensi dell’ Art. 5 Vittorio Emanuele III dichiarò la guerra scavalcando il Parlamento o il 25 luglio del 1943 quando lo stesso sovrano si riappropriò del comando delle forze armate (Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d'alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere…”).

E’ evidente che quanto più carismatico è il Primo Ministro, pensiamo a Cavour, che Vittorio Emanuele II ebbe sempre l’accortezza di assecondare, tanto meno forte è il potere del sovrano. Vittorio Emanuele II esercitò comunque il potere con intelligenza e fiuto politico e in occasione della Pace di Villafranca egli dimostrò maggiore saggezza di Cavour, pur se dalla morte del suo primo ministro preferì al suo fianco molto spesso Presidenti del Consiglio fiacchi e incapaci di ostacolare una sua politica estera spesso avventurosa e in più d’una occasione parallela a quella del Governo che ne bloccò ogni iniziativa allorquando nel 1870 si proponeva di intervenire in aiuto del suo amico Napoleone III contro la Prussia.

Alla rovinosa sconfitta della Francia “Per fortuna - pare dicesse all'austriaco Vitzthun - l'abbiamo scampata bella". Padre della Patria egli ha inventato la monarchia italiana, un mito nel quale il Parlamento non occupò però un ruolo centrale e questo ebbe serie conseguenze sul futuro della democrazia parlamentare italiana creando maggioranze eterogenee e il fenomeno del trasformismo. L’invenzione della monarchia quale momento aggregante per il Paese, pur necessaria, avvenne dunque a scapito del Parlamento.