L’anima mundi in Freefolk, il nuovo album solista di Massimo Garritano

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Si chiama “Freefolk” il nuovo album di Massimo Garritano. Il disco, uscito il 29 gennaio per Manutù Records, è composto da 16 canzoni che parlano di integrazione musicale come metafora di quella sociale. Tanto che si può parlare di concept album (anche) politico, una sorta di zibaldone musicale coltivato per anni e immaginato già nel titolo e nelle intenzioni, prima ancora che nella musica.

Ma il processo che ha portato alla genesi di “Freefolk”, il secondo dopo l’esordio nel 2016 di “Present”, è il frutto di un lavoro artigianale, di una ricerca artistica e personale in cui niente è lasciato al caso.

Massimo riprende in mano la chitarra acustica a 36 anni, in occasione del suo ritorno a San Fili, piccolissimo paese arroccato nella provincia cosentina, dove era cresciuto e dove cominciò a studiare in adolescenza i primi accordi musicali. Sono da sempre un appassionato di musica - ricorda Massimo - ma quando iniziai a suonare non fu per farne una professione. L’obiettivo era riuscire a suonare ai falò per conquistare le ragazze. Sorvolo sui fallimenti del mio primo repertorio, che era composto da brani come “My My, Hey Hey”, “The Road”, “Cocaine”.

È un ritorno alle origini, quello di Garritano nel nuovo disco, in cui emergono le diverse anime del cantautore.

L’idea del titolo arriva dopo una domanda, quella di un ascoltatore che ha chiesto a Garritano se la sua musica fosse freefolk. È nata quindi l’idea di “fare un disco con questo titolo: una nuova identità aveva finalmente trovato forma nella ricerca di accordature alternative, oltre a quella tradizionale, nella ricerca timbrica e nella consapevolezza che due anime - quella elettrica, più moderna, e quella acustica, più primordiale - potevano finalmente convivere insieme. Tutto il bagaglio di vita prende forma in nuove composizioni”, spiega il musicista.

Il disco è costituito da composizioni istantanee e canzoni. In apertura c’è Haiku #7, la prima di quattro schegge musicali, ispirate agli omonimi e brevissimi componimenti giapponesi di tre versi, che attraversano il disco come un sottile filo conduttore. In Magara, il chitarrista rievoca una figura femminile, fantastica, misteriosa e danzante, mentre, nel successivo Pitagora, l’improvvisazione modale apre a spazi e orizzonti più ampi. Ispirata all’anarchico calabrese giustiziato nel 1933 per il tentato omicidio del presidente americano Roosevelt, Joe Zangara è un brano per solo bouzouki con al suo interno tre temi, Maggiore-Minore-Maggiore e improvvisazioni ritmico-melodiche. Incastonato circa a metà album, troviamo il prezioso cammeo John Fahey, dedicato all’omonimo chitarrista e compositore statunitense.

In Bottle Cup Blues, Garritano suona una chitarra classica fretless, “preparata” con un tappo di plastica inserito tra corde e tastiera, modificando sensibilmente il suono e le armonie. Attese Disattese doveva essere un altro Haiku, invece, il riff melodico e ritmico ha preso man mano una forma, fino a diventare brano a sé.

Una danza nuova condivide non solo la stessa accordatura di Night Moon, ma anche un’importante natura evocativa. Custodito nell’archivio per vent’anni e riscoperto durante il lockdown, Life in a Box è il brano in cui Garritano ha trovato la motivazione necessaria per portare a compimento l’intero album.

Il freefolk raggiunge anche l’India e si manifesta in PersuAsian e Marvaellous, due improvvisazioni basate sui raga, le tipiche successioni di intervalli modali della musica indiana. L’album si chiude con un’esortazione a uno sguardo dell’uomo più ampio e libero da pregiudizi. In Xenos, infatti, l’unione del suono dell’ellenico bouzouki con gli effetti digitali rappresenta l’incontro tra tradizione e contemporaneità.