Liberi per Crotone: “Donne e diritti, un lockdown senza fine”
“La soluzione non sarà discutere di generi e vittime. Occorre andare oltre la conciliazione per arrivare alla condivisione dei carichi di cura e di famiglia. Serve una questione nuovamente femminista, che rivendichi azioni politiche in grado di ridiscutere i ruoli sociali e rideterminare la visione culturale di questo Paese. L’uguaglianza dei diritti è un dato culturale, la discriminazione e la violenza anche. La differenza sta solo nello scegliere quale cultura sostenere e diffondere”, è quanto scrive Liberi per Crotone.
“Pandemia si declina al femminile - scrive il movimento - al netto della diatriba sulle declinazioni di genere che ogni anno torna alle porte dell’8 marzo e che quest’anno ha travolto anche il palco di Sanremo, resta lo sconcerto di assistere ad una discussione sulla sola “questione femminile” che di “femminista” non ha nulla. Perché che ci si chiami ingegnera o direttrice, nulla cambia rispetto ad una condizione di classismo di genere che riguarda tutte e tutti.
“Ed in quadro sociale e culturale che ha permesso alla donne di “emanciparsi” ma non troppo, essere donna in tempi di pandemia rappresenta un’aggravante. Un anno fa elencavamo i numeri delle infinite disparità di genere, da quella salariale al carico del lavoro di cura familiare, dall’inoccupazione alla disoccupazione, dalla violenza alla prevaricazione familiare, sociale, lavorativa. Un anno fa, però, iniziavamo anche a conoscere i risvolti di una parola carica di terrore: pandemia. A distanza di un anno abbiamo capito quanto la fragilità della condizione delle donne in Italia ed al Sud in particolare, sia stata usata e sfruttata per permettere al Paese di non affogare”.
“Se “pandemia” si declina al femminile è pur vero che “Paese” si declina al maschile, perciò le donne hanno dovuto pagare il prezzo quasi da sole della pandemia per permettere agli uomini di tenere in piedi il Paese. Così la crisi economica e produttiva si è scagliata sulle lavoratrici più che sui lavoratori ed il numero dei licenziamenti al femminile ha fatto un enorme balzo in avanti. Le lavoratrici, infatti, sono chiuse in gabbie contrattuali che devono tenere in conto le esigenze familiari e la cura dei figli, degli anziani, della casa, tutte condizioni che assottigliano le tutele ed annullano le carriere; tutte condizioni che permettono di immolare i posti di lavoro delle donne con molta più frequenza e meno rogne”, prosegue il comunicato.
“Ma non di solo licenziamento vive la disoccupazione femminile. I numeri delle donne costrette a lasciare volontariamente il lavoro in questo anno dell’era Covid-19 sono impressionanti. Le scuole chiuse, i servizi di cura e di assistenza alle famiglie ed alle persone chiusi o limitati, hanno imposto alle donne di restare a casa, di sopperire alla carenza di assistenza, di tornare alla più rassicurante idea dell’angelo del focolare, senza troppe storie. Perché si muore, perché ce lo chiede la Patria”.
“Ed allora tocca immaginare un welfare che si declini al neutrale, ma non è sufficiente. Perché servirà a poco diffondere permessi familiari, riduzioni dell’orario di lavoro e smart-working che siano privi di attribuzione di genere. Saranno le donne ad accedere a queste misure perché è alle donne che culturalmente e socialmente abbiano imposto di farsi carico delle fragilità familiari e sociali. La pandemia ha accelerato i processi di disuguaglianza e fragilità, che si sono concentrati sui punti deboli di una società che non redistribuisce”, continua il comunicato.
“Il dato della violenza di genere nel contesto endofamiliare non è estraneo a questa narrazione, ne è conseguenza dipendente. La crisi economica è crisi sociale in una società fondata sulla produttività e, in una società familistica che grava la donna dell’onere della cura senza che questo sia riconosciuto come strumento di welfare diffuso, la donna è il soggetto esposto alle prevaricazioni, costretta a catalizzare le frustrazioni maschili. Un dato che pesa di più laddove le donne pesano di meno nella determinazione della vita collettiva. L’enorme divario occupazionale delle donne rispetto agli uomini, al Sud ed in Calabria soprattutto, rappresenta il quadro esatto di una bomba sociale inesplosa”.