Debiti Iva mai pagati: maxi frode “carosello” in Liguria, una “cartiera” era in Calabria
Una maxi fronde fiscale che supera i tre milioni di euro resa possibile da un giro di fatture “false” stimato in circa quindici di milioni.
Il tutto possibile grazie ad una serie di aziende del settore informatico, ufficialmente intestate a soggetti “problematici” ma in realtà controllate da altri, ovvero 17 persone che oggi sono indagate dalla Procura di Savona, di cui cinque finite in arresto, quattro in carcere e una ai domiciliari: si tratta di tre uomini e due donne, tutti italiani, rispettivamente di 47, 50, 51, 62 e 72 anni, tra cui alcuni commercialisti, tutti residenti nel ponente savonese.
Contestualmente agli arresti, e fino alla concorrenza dell’imposta che si ritiene evasa, si sta eseguendo anche un sequestro per equivalente sui conti correnti e sui beni mobili ed immobili dei principali indagati.
Questo l’esito dell’operazione condotta dalla Guardia di Finanza del capoluogo ligure, che è andata a colpire un gruppo criminale con base operativa nella provincia di Savona ma con ramificazioni ed interessi economici anche in altre regioni italiane, oltre che all’estero.
Le investigazioni, dipanatesi attraverso attività di natura fiscale, l’esame di materiale informatico, di documentazione contabile, extra-contabile, societaria e bancaria sequestrata durante precedenti perquisizioni, fanno ritenere di aver scoperto un’imponente “frode carosello” nel settore della commercializzazione di prodotti informatici, basata sulla emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Al termine delle indagini è stato definito un quadro indiziario considerato “puntuale” e che avrebbe messo in luce le responsabilità dei 17 indagati e il coinvolgimento - nella commissione dei reati tributari - di 16 imprese italiane in Liguria, Piemonte, Veneto e anche in Calabria, oltre ad altre cinque che si trovano invece all’estero, tra Bulgaria e Gran Bretagna.
Il “sistema”, per gli anni d’imposta che vanno dal 2014 al 2019, si sarebbe basato sull’emissione e l’utilizzo di fatture, come accennavamo all’inizio, per circa 15 milioni di euro, con un danno diretto per l’Erario stimato in più di 3,2 milioni, pari cioè all’Iva ritenuta evasa.
Nove delle imprese coinvolte sono risultate essere delle mere “cartiere”, ovvero di recente costituzione, senza qualsivoglia struttura o sede e con un’operatività limitata nel tempo, caratterizzata dalla crescita esponenziale del volume d’affari.
Società che sarebbero state utilizzate, insomma, solo per interporsi nei diversi passaggi commerciali, senza alcuna finalità economica, ostacolando così la ricostruzione delle filiere illecite e vanificando le pretese erariali derivanti dagli elevati debiti Iva mai versati.
Le stesse ditte individuali venivano intestate a “prestanome”, ricercati tra persone problematiche, ovvero quasi tutte con difficoltà legate alla dipendenza da stupefacenti, da gioco d’azzardo o comunque in condizioni psico-fisiche precarie.
In realtà sarebbero stati gli arrestati di oggi a gestire di fatto le imprese, anche sotto il profilo bancario e finanziario. Attraverso il meccanismo fraudolento, le società effettivamente beneficiarie della frode, che sono in tutto tre e ubicate nel ponente savonese, hanno potuto usufruire di un duplice vantaggio, di natura concorrenziale e fiscale.
Ovvero: l’acquisto di beni ad un prezzo inferiore a quello di mercato, per effetto del mancato pagamento dell’Iva ad opera del “fornitore-cartiera”, in conseguenza del mancato versamento dell’imposta a debito generata dalla vendita; poi, l’illegittima detrazione dell’Iva riferita all’acquisto di merce.
Il gruppo avrebbe agito anche attraverso un altro sistema: le stesse società cartiere, dichiarandosi “esportatori abituali”, sarebbero riuscite ad acquistare beni in sospensione d’imposta, poi acquistati dalle stesse imprese beneficiarie a prezzi concorrenziali.