Corruzione in Costa D’Avorio per estrarre oro, socio occulto vicino alla ‘ndrangheta: tre arresti
Una corruzione di funzionari pubblici che parte dalla Calabria per arrivare nella lontana Africa, in particolare in Costa D’Avorio.
Il tutto per ottenere l’autorizzazione, in quello stato, alla ricerca e l’estrazione semi-industriale di oro che avrebbe dovuto avvenire in dei terreni che ricadono però in un Parco Nazionale e che, per questo motivo, non poteva essere rilasciato un parere favorevole, necessario a tal scopo.
Ed è qui che entrano in gioco i protagonisti della vicenda, tre persone oggi finite in carcere su ordine della Procura di Locri: un 60enne, S.C. le sue iniziali; un 72enne, D.M.; e un 74enne, P.G; tutti ritenuti responsabili di corruzione internazionale e di trasferimento fraudolento di valori.
Le indagini - confluite nell’operazione odierna, chiamata in codice “Tutto il mondo è paese” - sono scattate nel corso del 2020 dal Commissariato di polizia Bovalino, con il Coordinamento della Squadra Mobile di Reggio Calabria e, per i profili internazionali, con l’apporto del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine e dal Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia.
Anche con il ricorso alle intercettazioni si è dunque arrivati a portare a galla dei presunti accordi di corruzione avviati dagli indagati con funzionari della Repubblica della Costa D’Avorio.
Da quanto ricostruito dagli investigatori i tre arrestati avevano costituito, nel 2017, due società di diritto ivoriano: una per il commercio e l’estrazione di prodotti minerari e petroliferi e l’altra di import-export - che si ritiene usata per finanziare la prima - ed in cui il 60enne sarebbe stato un socio “occulto”.
60enne che è ritenuto contiguo alla cosca di ‘Ndrangheta dei Marando di Platì, già sottoposto alla Sorveglianza Speciale e alla confisca di prevenzione di numerosi beni: da che la contestazione anche del reato di trasferimento fraudolento di valori.
Tramite la prima azienda, i tre avrebbero così avanzavano in Costa D’Avorio la richiesta per la ricerca e l’estrazione dell’oro e, per ottenerla, avrebbero dunque corrotto i funzionari dello Stato africano.
Le investigazioni avrebbero difatti accertato che per il rilascio delle autorizzazioni, gli indagati, in tempi diversi e con il concorso di altri soggetti ivoriani, avrebbero corrotto dapprima il Direttore Regionale delle Miniere e della Geologia di Yamoussoukro e, successivamente, il Direttore dell’Ufficio Ivoriano dei Parchi e delle Riserve della stessa Capitale.
Corruzione che sarebbe avvenuta col pagamento di due tangenti: una di sette milioni di Franchi CFA, pari a circa 10.600 euro; e una da un milione di Franchi CFA, più o meno 1.500 euro.
Le indagini - piuttosto complesse ed articolate - sono state coordinate dalla Procura della Repubblica di Locri. Gli arresti, in carcere, sono stati poi eseguiti dagli agenti del Commissariato di Bovalino e della Squadra Mobile di Reggio Calabria, con l’aiuto dei colleghi delle Mobili di Roma e Forlì-Cesena.