A Roma San Basilio lo spaccio era affare di “famiglia”: 21 arresti, a capo due fratelli di Platì
Un blitz eseguito tra le province di Roma, Napoli, Reggio Calabria, Viterbo e Frosinone ha portato stamani all’arresto di 21 persone, tutte finite in carcere, con le accuse, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, spaccio e detenzione ai fini di spaccio di droga in concorso, e di tentato omicidio Nel medesimo contesto, in Roma, sono state eseguite.
Contemporaneamente, nella Capitale, sono in corso delle perquisizioni nei confronti di altri 13 soggetti ritenuti anch’essi collegati al traffico di stupefacenti.
L’operazione, drnominata Coffee Bean, ordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia ed eseguita dai Carabinieri dei rispettivi comandi provinciali delle città interessate, arriva al termine delle indagini partite dall’arresto in flagranza - per detenzione ai fini di spaccio ed eseguito il 18 marzo del 2016 - del titolare del bar “Coffee Bean” nel quartiere Talenti di Roma.
L’uomo – che allora era stato sorpreso a cedere della cocaina e della marijuana ad un cliente del locale - secondo gli investigatori sarebbe stato proprio il promotore di una presunta organizzazione criminale dedita al narcotraffico e già nel luglio del 2018 colpita duramente da una serie di arresti che fecero scattare le manette per una dozzina di persone.
Il provvedimento di oggi è proprio il frutto di una serie di ininterrotte investigazioni, coordinate dalla Dda capitolina e delegate ai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia Roma Montesacro, che avrebbero permesso di smembrare un sodalizio criminale appunto al traffico, detenzione e spaccio di hashish, cocaina e marijuana, e che operava in una delle più importanti piazze di spaccio del quartiere romano di San Basilio (via Sirolo, via Mondolfo, via Pievebovigliana e via Corinaldo).
I FRATELLI IN AFFARI
Gli inquirenti ritengono pertanto di aver identificato tre gruppi che sarebbero collegati dall’attività di due fratelli nativi di Platì, nel reggino: Alfredo e Francesco (detto Ciccio) Marando.
I Marando, che da alcuni anni risiedono nel quartiere di “San Basilio”, sono i figli del più noto Rosario e nipoti del presunto narcotrafficante Pasquale Marando, considerati elementi di spicco dell’omonima 'Ndrina platinese (QUI).
La tesi degli investigatori è che entrambi fossero in grado di movimentare grosse quantità di droga, rifornendo non soltanto il gruppo che faceva capo a loro stessi (e oggetto oggi della misura cautelare), ma anche altri due attivi sul territorio.
Dagli approfondimenti eseguiti dai militari si sarebbe così fatta luce sulle dinamiche operative del “folto” sodalizio dei Marando che, insediatosi progressivamente nella zona popolare di San Basilio, avrebbe gestito - con l’aiuto di un considerevole numero di vedette e di pusher - una “costante, pervasiva e remunerativa attività di spaccio”.
Da quanto emerso dalle indagini si restituirebbe dunque quella che gli inquirenti definiscono come “l’immagine di una vera e propria consorteria, stabilmente dedita al narcotraffico, fondata sulla divisione dei compiti tra i capi, gli organizzatori, e i pusher e/o vedette”.
Un sodalizio, insomma, che avrebbe trasformato, con le metodiche ispirate al modello de “Le Vele” di Scampia, un popoloso complesso immobiliare in una enclave dove svolgere una costante e remunerativa attività di stoccaggio, gestione e spaccio di stupefacenti.
Una redditività che sarebbe stata certificata anche da una perquisizione effettuata nell’abitazione di alcuni degli arrestati e che sono stati trovati in possesso della “contabilità” e di una notevole somma di denaro in banconote di vario taglio.
I PUSCHER, LE VEDETTE E GLI OGANIZZATORI
L’indagine, spiegano poi gli inquirenti, è stata condotta con non poche difficoltà, dovute alla continua presenza delle vedette che avevano il compito di controllare l’area di interesse. Ciononostante i carabinieri sono riuscito a documentare numerosissimi episodi di spaccio, che hanno svelato “chiaramente le dinamiche operative e l’organigramma del gruppo”, suddiviso in pusher e vedette, organizzatori e capi.
Quanto alle prime due, ovvero i pusher e le vedette, queste si posizionavano agli ingressi principali del comprensorio popolare e sui tetti degli immobili, con compiti interscambiabili di vigilanza ma anche di spaccio al minuto.
Il gruppo, però, mutava di frequente per i numerosi arresti - oltre una novantina – eseguiti dai militari romani della compagnia Monte Sacro.
Quanto agli organizzatori – definiti come i diretti fiduciari dei capi - formavano invece un gruppo più ristretto, preposto al coordinamento dello spaccio, al prelevamento della droga dai luoghi dove era nascosta, e al successivo rifornimento dei pusher, custodendo anche il ricavato delle vendite.
Tra gli organizzatori, gli investigatori identificano altri due fratelli di Platì, Domenico Natale Perre, detto Micu, e Paolo, anche loro da qualche anno trasferiti a San Basilio, oltre a Marco Lenti e Gian Claudio Vannicola, nati invece nello stesso quartiere capitolino.
I CAPI E LA REPERIBILITÀ DEI PUSCHER
Infine, i capi e promotori del gruppo, come dicevamo prima, sarebbero stati i due fratelli Alfredo e Francesco Marando: a loro spettava la direzione, vigilanza, il coordinamento e la gestione dei pusher e delle vedette, ma anche di stabilire i compensi che spettavano a quest’ultimi sulla base dell’attività svolta (stabilendone i compiti, orari e addirittura la reperibilità); la definizione degli eventuali contrasti tra i diversi “accoliti” e, dove necessario, l’assistenza legale ed economica a favore dei sodali.
Gli inquirenti, poi, riferiscono il caso “emblematico” di uno dei pusher: questi, assentatosi per un giorno intero senza autorizzazione, per andare al mare con la fidanzata, avrebbe difatti ricevuto la durissima reazione di Alfredo Marando, che gli avrebbe fatto presente come il giorno di riposo lo avrebbe potuto godere solo dopo aver trovato un sostituto per la sua attività.
Inoltre, sono state monitorate due autovetture identiche per modello e colore che sarebbero state utilizzate per conservate temporaneamente gli stupefacenti, anche grazie ad un apposito sistema di “doppiofondo”.
All’interno di un’abitazione a disposizione del gruppo, invece, il 28 aprile del 2017, vennero arrestati cinque soggetti che furono sorpresi mentre confezionavano numerosissime dosi di narcotico, tratte da una provvista di 5 kg., tra cocaina, hashish e marijuana.
Durante l’indagine, infine, sono stati segnalati alla Prefettura 38 soggetti come assuntori di stupefacenti e sono stati sequestrati complessivamente quasi 3 chili di hashish, poco più di 12 di cocaina, un altro chilo e mezzo di marijuana e contante per oltre 96 mila euro ritenuto il provento dello spaccio.