“Scipione”. Coca e marijuana la portavano i calabresi, allo spaccio ci pensavano i siciliani
Ancora una volta la ‘ndrangheta calabrese si conferma la principale fornitrice di droga in ogni angolo del Paese ed, in questo caso, fonte di approvvigionamento del mercato dello spaccio messinese.
Un’evidenza che pare conclamata negli atti dell’operazione Scipione, scattata nella notte scorsa con l’arresto di 19 persone, tutte finite in carcere tranne una messa ai domiciliari (QUI), e che avrebbe permesso dunque ed anche di comprendere l’abilità ed il metodo utilizzato dalle cosche calabresi - in particolare quella dei Morabito-Bruzzaniti-Palamara di Africo Nuovo - sia per nascondere che per trasportare e distribuire lo stupefacente.
Tutto ha inizio da un attentato del 2016 nei confronti di tre pregiudicati messinesi, Angelo Albarino, Stefano Marchese e Stellario Brigandì. Mentre erano seduti ad un tavolino di un bar, il “Café sur la ville” in viale Regina Margherita del capoluogo siculo, furono raggiunti infatti da alcune fucilate.
Indagando proprio su di loro i carabinieri messinesi si sono resi conto che fossero inseriti nel contesto cittadino della droga e quindi coinvolti in una presunta associazione per delinquere dedita al traffico di stupefacenti.
Secondo gli investigatori Albarino, titolare di una paninoteca di via Cesare Battisti, insieme a Giuseppe Selvaggio, poi divenuto un collaboratore di giustizia, sarebbero i promotori di un più ampio gruppo criminale che si riforniva stabilmente da elementi riconducibili alla cosca reggina.
LA CONSEGNA A DOMICILIO
Quest’ultima sarebbe stata in grado di assicurare finanche la consegna a domicilio, su base settimanale, di carichi di cocaina e marijuana poi destinati alle principali piazze di spaccio della città siciliana.
L’ipotesi è che i fornitori sarebbero due fratelli ed un loro cugino: rispettivamente Salvatore e Costantino Favasuli e Giovanni Morabito.
Quest’ultimo è nipote del presunto boss Giuseppe Morabito, detto il “tiradritto” e considerato un esponente apicale della ‘ndrangheta ionico reggina. Inoltre è già noto a Messina in quanto autore del tentato omicidio, a colpi d’arma da fuoco, di sua sorella, avvenuto sempre nel capoluogo etneo il 24 marzo 2006, e fatto per il quale è stato poi condannato in via definitiva.
I militari, quindi, hanno tenuto sotto controllo il locale di Albarino, dove i calabresi si recavano senza alcun preavviso telefonico per accordarsi di persona con quest’ultimo quanto alle consegne di narcotico e per i pagamenti da ricevere.
Particolare sarebbe poi il modus operandi utilizzato dagli indagati per evitare possibili investigazioni, e documentato dai Carabinieri nel corso delle osservazioni del locale.
In pratica, quando i calabresi arrivavano, entravano senza salutare Albarino, come se non si conoscessero. Quest’ultimo li seguiva all’interno solo alcuni minuti dopo, una volta accertatosi che non vi fossero servizi di osservazione da parte delle forze dell’ordine. Dentro, poi, avvenivano le trattative per la fornitura di droga.
Droga che veniva quindi portata, ogni settimana, dalla Calabria a bordo di autovetture attrezzate con dei doppi fondi; il trasporto era effettuato dagli stessi calabresi, che garantendo la consegna a domicilio pretendevano anche una maggiorazione sul prezzo di vendita di ogni carico.
Albarino e Selvaggio avrebbero poi curato la successiva distribuzione attraverso una rete di pusher, mentre i fornitori rifornivano anche altri gruppi di spacciatori messinesi facenti capo a Santo Salvatore, deceduto nel 2019 in carcere, e a Alessandro Duca, quest’ultimo in rapporti anche con il gruppo facente capo a Selvaggio ed Albarino.
LA DROGA SOTTO LA SABBIA
Nel corso delle indagini sono state anche documentate le particolari modalità di occultamento dello stupefacente in Calabria: infatti, i Carabinieri hanno ricostruito come i Favasuli e Morabito fossero soliti nasconderlo seppellendolo nella sabbia dell’arenile di Africo Nuovo (nel reggino), contrassegnando i punti con dei segnali.
Nel maggio del 2017, invece, i Carabinieri di Messina Sud furono costretti ad un rocambolesco inseguimento per sequestrare un carico che era stato appena ceduto dall’organizzazione criminale.
La droga era a bordo di un’autovettura su cui c’erano Francesco Protopapa e Pasqualino Agostino Ninone, entrambi di Sant’Agata Militello, e un terzo uomo solo in un secondo momento identificato in Sebastiano Bontempo, detto il “Uappo”, ritenuto elemento apicale del gruppo mafioso tortoriciano dei “batanesi”.
Alla vista della pattugliam che voleva controllarli, i tre speronarono l’auto dei militari e tentarono la fuga; dopo un inseguimento vennero bloccati ed arrestati Protopapa e Ninone, sequestrando 2,5 kg di marijuana; mentre Bontempo riuscì a fuggire per le campagne; quest’ultimo venne però identificato grazie alle investigazioni che in quel periodo il Ros stava facendo nei suoi confronti nell’ambito dell’indagine “Nebrodi”.
Il quadro delineato dalle indagini sarebbe dimostrato dalle dichiarazioni di Giuseppe Minardi che confermerebbero il rapporto tra il cugino, Angelo Albarino, e Giuseppe Selvaggio, nell’ambito del traffico di stupefacenti ed i loro presunti rapporti con i fornitori calabresi.
Successivamente, sempre Selvaggio, tratto in arresto nell’ambito di un’altra indagine e per il reato di usura, decise di collaborare con la giustizia ammettendo il suo coinvolgimento nel traffico e confermando la collaborazione dei co-indagati come appartenenti al gruppo di cui era a capo.
I FURTI A CASA DI VITTIME FACOLTOSE
Le indagini avrebbero inoltre fatto emergere che Selvaggio ed i suoi presunti complici fossero anche attivi nel pianificare e progettare il compimento di furti in appartamento, individuando le potenziali vittime tra presone facoltose, controllandone gli spostamenti e studiandone le abitudini così da mettere a segno “colpi” fruttuosi.
In particolare, sono stati acquisiti gravi indizi a carico di uno degli indagati che si ritiene sia l’autore, insieme ad un complice rimasto sconosciuto, di una rapina in abitazione commessa il 9 aprile del 2016 a Torrenova (Messina), ai danni di una donna 60enne che, nella circostanza, fu picchiata e legata ad una sedia e derubata di denaro contante e gioielli.
GLI ARRESTATI
In carcere sono dunque finiti: Angelo Albarino, 45enne; Salvatore Favasuli, 46enne; Giovanni Bonanno, 47enne; Adriano Fileti, 50enne; Stellario Brigandì, 52enne; Stefano Marchese, 43enne; Fortunato Calabrò, 42enne; Giampaolo Milazzo, 49enne; Santo Chiara, 43enne; Giovanni Morabito, 37enne; Rinaldo Chierici, 49enne; Francesco Spadaro, 40enne; Roberto Cipriano, 53enne; Maria Visalli, 42enne; Giuseppe Coco, 43enne; Marcello Viscuso, 49enne; Alessandro Duca, 42enne; Costantino Favasuli, 48enne. Ai domiciliari, invece, Orazio Famulari, 45enne.
L’operazione è stata condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Messina che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale locale su richiesta della Procura Distrettuale.
Agli arrestati si contestano a vario titolo i reati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi, nonché reati contro il patrimonio.