Operazione Pedigree 3, nel mirino ancora la cosca dei Serraino: doppio arresto

Reggio Calabria Cronaca

A distanza di poco più di un anno dalle precedenti operazioni - la “Pedigree” del 9 luglio del 2020 (QUI) e la “Pedigree 2” del 15 ottobre successivo (QUI) - la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha assestato un nuovo colpo alla cosca di ‘ndrangheta dei Serraino (QUI), operante in particolare nelle frazioni di Arangea e Gallina e nel quartiere di San Sperato oltre che nel centro di Cardeto.

Finiscono oggi in carcere, infatti, il 38enne Francesco Doldo ed il 22enne Domenico Russo, ritenuti entrambi responsabili di associazione mafiosa.

Il loro coinvolgimento sarebbe stato appurato nel corso delle indagini svolte dalla Squadra Mobile, che ha raccolto numerose testimonianze e dichiarazioni degli arrestati nel corso delle precedenti operazioni, molti dei quali divenuti nel frattempo collaboratori di giustizia.

IL RUOLO DELL’ACCOSTATO

In particolare, Doldo, pur non essendo stato formalmente “battezzato”, sarebbe risultato estremamente vicino al clan, fornendo, secondo gli inquirenti, un prezioso contributo in qualità di “accostato”.

L’ipotesi è che oltre ad aver contribuito a conservare e detenere le armi del clan ed aver offerto i locali della sua attività, un’agenzia assicurativa, per svolgere riunioni di ‘ndrangheta in cui sarebbero state prese importanti decisioni relative a fatti estorsivi e paventati progetti di omicidio ai danni di un esponente della cosca ritenuto avere rapporti ambigui con le forze dell’ordine.

Inoltre si sarebbe adoperato anche per individuare un’autovettura per trasportare i familiari di Francesco Ciccio Russo (detto “u scazzu”) capo locale della cosca sino al suo arresto dell’ottobre 2020; ma anche per ricercare le somme di denaro necessarie al pagamento delle spese legali dello stesso “boss”.

Quanto invece il ruolo del giovane Domenico Russo, è emerso che ha fornito, nel tempo, una sistematica e fattiva collaborazione al padre Francesco, detto “Ciccio lo scalzo”, che a sua volta è stato indicato dai collaboratori di Giustizia come storico componente del clan con il ruolo direttivo di “capo società”, e che avrebbe presieduto i riti di affiliazione e che, dopo la sua recente scarcerazione nel 2017, aveva mantenuto un ruolo apicale, interloquendo direttamente con il capo della ndrina Nino Serraino.

GLI INTERESSI DEL CLAN

Le indagini, dirette dal procuratore Giovanni Bombardieri e svolte dai sostituti procuratori Stefano Musolino, Walter Ignazzitto, Paola d’Ambrosio e Diego Capece Minutolo, avrebbero messo in luce un grave quadro indiziario a carico degli arrestati; quadro rafforzato anche da intercettazioni.

La cosca Serraino sarebbe stata attiva nel settore delle estorsioni ad imprenditori e commercianti locali, nell’imposizione con violenza e minaccia di beni e servizi e nell’impiego dei proventi delle attività delittuose in esercizi commerciali nel campo della ristorazione e della vendita di frutta.

Attività che sarebbero state intestate a prestanome compiacenti così da eludere l’applicazione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e il sequestro delle imprese ai sensi della normativa antimafia.