Coltivazione e spaccio di droga nel vibonese: condannati in due
Si conclude con due condanne, un’assoluzione e quattro non luogo a procedere l’inchiesta nata dalle dichiarazioni di Emanuele Mancuso, collaboratore di giustizia figlio del boss Pantaleone detto “l’ingegnere”, appartenente alla nota famiglia di ‘ndrangheta.
È quanto deciso ieri dal Tribunale di Vibo Valentia, dopo che la Procura aveva notificato l’avviso di conclusione indagini ai sette indagati, tutti rinviati a giudizio.
L’inagine, condotta dalla Squadra Mobile e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, aveva coinvolto anche la Procura di Vibo per incompatiblità territoriale.
Nata dalle dichiarazioni rese negli ultimi mesi da Mancuso, i reati ipotizzati erano di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, assieme a singoli episodi di spaccio, cessione e trasporto di sostanze stupefacenti.
Sarebbe stato lo stesso Emanuele a svelare il “business fiorente” basato sulla coltivazione e sullo spaccio di marijuana, con un giro d’affari da oltre 20 milioni.
Lo stesso Mancuso avrebbe acquistato numerosi semi di marijuana direttamente online, provvedendo a realizzare diverse piantagioni: nell’arco di tre anni, la Polizia ha sequestrato e distrutto oltre 26 mila piante solo tra Joppolo, Nicotera e Capistrano.
L’erba qui coltivata veniva poi smistata e venduta in tutta Italia, tramita una “capillare rete” gestita direttamente dal “gruppo guidato da Emanuele Mancuso”.
Raccolti e valutati tutti gli elementi, il Tribunale ha emesso due condanne: due anni e quattro mesi a William Gregorio, e due anni a Riccardo Papaglia. Assolta invece Giusy Milidoni. Non luogo a procedere infine per Giacomo Chirico, Antonio Curello, Maria Ludovica Di Stilo e Salvatore Ferraro.