Rifiuti liquidi finiti in terreni e fogne, otto arresti tra Lazio e Calabria
Otto persone sono finite in arresto stamani nell’ambito di un’operazione condotta dalla polizia tra il Lazio e la Calabria, dove sono stati anche eseguiti dei sequestri preventivi per circa 3 milioni di euro, e delle perquisizioni domiciliari nei confronti degli stessi indagati a cui si contesta l’appartenenza ad un’associazione a delinquere impegnata, secondo gli inquirenti, nel traffico illecito di rifiuti, oltre che altri reati contro l’ambiente e la truffa ai danni dello Stato.
A capo dell’organizzazione si ritiene vi sia un soggetto calabrese, in passato già colpito da due interdittive antimafia, che è finito in carcere; altri sette coinvolti, considerati suoi consociati, sono stati sottoposti agli arresti domiciliari; mentre altri due, invece, sono stati raggiunti da un divieto di esercitare attività imprenditoriali.
L’indagine - coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e condotta dello Sco, il Servizio Centrale Operativo, dalla Squadra Mobile della Questura di Latina e dal Compartimento Polizia Stradale per il Lazio – è scattata dopo la denuncia di Acea ambiente nei confronti di una società di Ariccia, aggiudicataria di una gara d’appalto per l’affidamento del servizio di carico, trasporto e smaltimento di rifiuti liquidi prodotti nell’unita locale di Aprilia.
La società incaricata avrebbe dovuto trasportare i liquami alle discariche autorizzate per le procedure di smaltimento ma secondo gli investigatori l’azienda avrebbe invece sversato i rifiuti liquidi su terreni o in pozzetti fognari della rete pubblica, senza il un trattamento preventivo.
Poi avrebbe apposto sui formulari di identificazione rifiuti (i cosiddetti F.I.R.) dei timbri falsi delle società autorizzate allo smaltimento, così da attestare il “ciclo del rifiuto” e farsi pagare le prestazioni dall’Acea Ambiente.
La società indagata aveva vinto anche altri appalti pubblici con enti locali romani, tra cui quello per lo smaltimento di liquami provenienti dai campi rom capitolini.
L’indagine ha poi fornito elementi per contestare agli indagati anche i reati di intestazione fittizia di beni e di autoriciclaggio: l’ipotesi della Dda è infatti che gli ingenti flussi di capitali provenienti dal traffico dei rifiuti siano stati reimpiegati nei circuiti economici legali.