Stangata alla “locale di Anzio e Nettuno”: così la ‘ndrangheta assoggettava il litorale romano

Calabria Cronaca

I gangli della ‘ndrangheta calabrese anche sul litorale laziale, in particolare nei comuni di Anzio e Nettuno, dove insisteva tramite una sua “succursale”, una cosiddetta “locale”, denominata proprio “di Anzio e Nettuno”.

In pratica un “distaccamento” dal locale di Santa Cristina d’Aspromonte, nel reggino, ma composto in gran parte anche da soggetti appartenenti a famiglie mafiose di originarie di Guardavalle, nel catanzarese.

Un gruppo che anche sul litorale a sud di Roma, facendo leva sulla propria forza di intimidazione dovuta al fatto di appartenere alla potente criminalità calabrese, grazie all’ assoggettamento e all’omertà che la circonda, sarebbe riuscita ad infiltrarsi nell’economia locale ma, cosa ancor più pericolosa, anche nella pubblica amministrazione.

Le mani della locale si imponevano sul territorio, dunque, gestendo o controllando attività nei più svariati settori, da quello ittico a quello della panificazione, dalle gestione e lo smaltimento rifiuti fino al movimento terra.

Un controllo rafforzato anche attraverso accordi con altre organizzazioni criminali o, come accennavamo, con le infiltrazioni nelle amministrazioni comunali.

Un’egemonia a cui stamani, dopo quasi quattro anni di indagini, si ritiene di aver messo fine quando su ordine della Dda di Roma i carabinieri hanno fatto scattare la retata non solo ad Anzio e Nettuno ma anche a Latina, Rieti, Viterbo e Reggio Calabria (QUI).

Le manette sono quindi scattate ai polsi di ben 65 persone: 39 quelle finite in carcere e 26 ai domiciliari, a cui si contestano a vario titolo l’associazione mafiosa, l’associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti (aggravata dal metodo mafioso), la cessione e detenzione di droga ai fini di spaccio, l’estorsione aggravata e la detenzione illegale di arma da fuoco, l’intestazione fittizia di beni e le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (aggravato dal metodo mafioso).

IL BUSINESS DELLA COCA

L’ipotesi degli inquirenti è che a capo della “struttura” vi sia Giacomo Madaffari e che ne farebbero parte, inoltre, diversi soggetti appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Guardavalle: i Gallace, Perronace e Tedesco.

Le indagini farebbero emergere l’esistenza di due associazioni che si occupavano del narcotraffico, una capeggiata da Giacomo Madaffari e l’altra da Bruno Gallace, dotate entrambe di elevate disponibilità finanziarie e logistiche, e capaci di fa arrivare dal Sud America importanti quantitativi di cocaina.

Gli sviluppi investigativi, in particolare, hanno consentito di ricostruire l’importazione dalla Colombia e l’immissione sul mercato italiano di 258 kg di polvere bianca, avvenuta nella primavera del 2018, tramite un narcotrafficante colombiano.

La droga fu disciolta nel carbone e poi estratta all’interno di un laboratorio allestito per la circostanza a sud di Roma. Una parte, circa 15 kg, fu ritrovata durante una perquisizione domiciliare dentro una valigia nascosta a casa della sorella di uno dei presunti appartenenti al gruppo e che fu evidentemente arrestata.

Le indagini, poi, hanno fatto luce sul progetto di acquistare e importare da Panama circa 500 kg di cocaina trasportata su un veliero.

Gli investigatori spiegano che a questo scopo furono avviati dei lavori di ristrutturazione all’estero del natante, che in origine era utilizzato per delle regate transoceaniche, e vennero concordate le operazioni di carico portuale in acque sudamericane, pianificando anche le attività di scarico e custodia in Italia dello stesso stupefacente.

Tuttavia, l’operazione non andò in porto dato che gli organizzatori vennero a sapere che erano in corso delle investigazioni sugli stessi appartenenti al sodalizio.

I LIQUAMI NEI TOMBINI

Come accennavano, gli arresti sono scattati anche per il reato di traffico organizzato di rifiuti: il riferimento è ad una presunta gestione abusiva di ingenti quantitativi di liquami che sarebbero stati scaricati nella rete fognaria comunale attraverso tombini, alcuni dei quali realizzati ad hoc nella sede di Anzio delle attività imprenditoriali facenti capo agli indagati.

Le quote, l’intero patrimonio aziendale, i conti correnti e le autorizzazioni all’esercizio delle attività commerciali sono state sottoposte a sequestro preventivo.

I MILITARI INFEDELI

Dalle attività sono emersi poi elementi sul reperimento di informazioni riservate da parte di alcuni appartenenti alle forze dell’ordine.

I Carabinieri hanno infatti indagato su due militari, appartenenti ad una delle caserme del litorale, e sostengono che si siano resi responsabili delle rivelazione delle informazioni riservate a favore del gruppo mafioso.

Uno dei due è così finito in carcere e l’altro ai domiciliari con l’accusa per entrambi di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio e per uno solo di loro di concorso esterno in associazione mafiosa.

Sono attualmente in corso delle perquisizione negli uffici comunali di Anzio e Nettuno per ricercare documentazione utile alle indagini.

L’OPERAZIONE

L’operazione è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma ed è stata eseguita dai Carabinieri del Comando Provinciale capitolino con l’ausilio dei Comandi Provinciali di Reggio Calabria, Latina, Rieti, Viterbo e dello SquadroneCacciatori Calabria”.