Sub appalto ad azienda condannato per mafia, società finisce in amministrazione giudiziaria
Una società di costruzioni edili operante nel nord Italia è stata posta sotto amministrazione giudiziaria da parte della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, proposta congiunta della Direzione Distrettuale Antimafia locale e del direttore della Direzione Investigativa Antimafia, a seguito di un’indagine di contrasto alla ‘ndrangheta.
I giudici hanno quindi disposto un “tutoraggio” ad opera di due Amministratori Giudiziari, nominati dalla stessa Autorità, che per un periodo iniziale di un anno eserciteranno tutti i poteri di controllo sull’attività d’impresa per eliminare eventuali contiguità critiche rilevate dagli inquirenti.
Il compendio aziendale sottoposto alla misura è capitalizzato per 1,5 milioni di euro e nell’ultimo periodo ha sviluppato un volume d’affari di oltre 35 milioni di euro.
L’istruttoria deriva da una attività di polizia giudiziaria svolta dalla Dia sotto l’egida della Dda del capoluogo lombardo che, nella scorsa estate, ha portato all’arresto di un uomo di origini calabresi (indiziato gravemente di trasferimento fraudolento di beni e valori) e al sequestro di quattro complessi aziendali, a intestati a terzi, si ritiene fittiziamente, oltre che di numerosi beni mobili strumentali, immobili e conti correnti per un valore complessivo di oltre 5,5 milioni di euro.
In concreto, gli investigatori ritengono che la società colpita dal provvedimento di oggi abbia agevolato l’attività di un’impresa riconducibile all’indagato, già condannato per associazione mafiosa, sub-appaltando a quest’ultima alcuni dei contratti per il trasporto di inerti relativi a dei lavori di realizzazione della nuova piattaforma logistica ortofrutta all’interno del Comprensorio Alimentare di Milano, del valore di oltre 15 milioni di euro, e che le erano stati aggiudicati nel 2020.
Le indagini mirano a dimostrare inoltre come i relativi aspetti contrattuali del sub-appalto, pari a circa 1,3 milioni, venissero definiti dai vertici societari direttamente con l’indagato calabrese, sebbene questi risultasse formalmente come un semplice autista dipendente dell’impresa sub-appaltatrice.
Una condotta che avrebbe quindi evidenziato la cosiddetta “colpa di organizzazione” in quanto l’azienda “sebbene si fosse dotata, almeno sulla carta, di procedure volte ad impedire il verificarsi di fenomeni criminosi nel tessuto societario, nei fatti - sostengono gli inquirenti - avrebbe disatteso le regole cautelari, formalizzate nel modello organizzativo ex Decreto Legislativo n. 231/2001, posto che i vertici societari nulla avrebbero eccepito in ordine alla presenza costante quale loro interlocutore di un soggetto privo di ogni formale potere e qualifica”.