Presunto boss malato, Cassazione accoglie il ricorso di Ernesto Fazzalari
La prima sezione della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato Antonino Napoli, difensore del presunto boss ed ex latitante Ernesto Fazzalari, contro il rigetto del Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila della richiesta di sospensione della pena e per la concessione della detenzione domiciliare o ospedaliera.
Fazzalari, che attualmente si trova detenuto presso la Casa di Reclusione di Parma, è sottoposto al regime del 41bis, il carcere duro, dove sta scontando una condanna anni 30 di reclusione in ragione di un provvedimento di cumulo emesso dalla procura Generale di Reggio Calabria, ed è affetto da un adenocarcinoma duttale di tipo a cellule chiare: una forma di tumore al pancreas aggressiva e dalla prognosi incerta.
Il Tribunale di Sorveglianza, nel motivare il rigetto dell’istanza, aveva evidenziato che “non può ignorare il gravissimo stato di salute in cui versa il condannato, ma neppure può trascurare le esigenze di certezza della pena e contenimento della pericolosità, nel caso di specie evidentissime, trattandosi di soggetto ristretto al regime speciale ex art. 41 bis OP”.
Nello stesso provvedimento i magistrati hanno rilevato che fuori dal circuito carcerario il condannato non avrebbe potuto ricevere cure diverse o migliori di quelle praticate in regime detentivo attraverso il continuo monitoraggio effettuato dai sanitari e la ininterrotta vigilanza del personale di Polizia penitenziaria, in grado di allertare in qualunque momento l’ausilio medico necessario.
La difesa ha contestato però questi assunti davanti al giudice di legittimità rilevando che il Tribunale “aveva solo ipotizzato, in maniera generica e astratta, l’idoneità dell’indicato apparato carcerario, a offrire assistenza medico-infermieristica a Fazzalari, senza verificarne l’effettiva adeguatezza ad affrontare eventuali e improvvise, o imprevedibili, complicanze di natura oncologica, che, per ammissione dello stesso Giudice, potrebbero generare conseguenze esiziali”.
La mancata concessione del differimento di pena, aveva rilevato l’avvocato Napoli, “lede il diritto alla salute del condannato, nella misura in cui gli nega la facoltà di scegliere di curarsi presso l’Ente ospedaliero da lui ritenuto più conforme alle sue esigenze e alla sua specifica condizione individuale”.
Per il legale, inoltre, costituirebbe una grave lesione del diritto alla salute, al consenso informato e all’autodeterminazione terapeutica non accordare al detenuto il diritto di sottoporsi a cure e trattamenti, anche sperimentali, praticati in centri d’eccellenza, presenti in altri ospedali italiani.
All’esito della camera di consiglio la I sezione della Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso della difesa e disposto un nuovo esame presso il Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila.