Inchiesta “Basso Profilo”: sigilli a beni per oltre 15 milioni di euro
La Direzione Investigativa Antimafia ha sequestrato i beni ritenuti riconducibili ad Antonio Gallo, imprenditore del settore della vendita di dispositivi di protezione e antinfortunistica attualmente sottoposto al 41 bis, il cosiddetto “carcere duro”.
La misura ha colpito sette tra imprese con il loro compendio; quote societarie; undici beni immobili; trenta beni mobili; ventitré rapporti finanziari per un valore complessivo stimato in oltre 15 milioni di euro.
L’uomo, nel gennaio del 2021, era stato arrestato e portato in carcere nell’ambito della nota operazione “Basso Profilo” (QUI), condotta dalla Dda di Catanzaro.
All’esito del processo di primo grado, nel luglio scorso, è stato condannato a 30 anni di reclusione per associazione mafiosa. Dagli atti d’inchiesta emergerebbe infatti un suo ruolo di imprenditore ritenuto di riferimento di alcune tra le organizzazioni ‘ndranghetiste più pericolose della provincia di Crotone.
Secondo gli inquirenti, in particolare, avrebbe gestito, in regime di sostanziale monopolio, la fornitura di prodotti antinfortunistici ed avrebbe utilizzato le proprie aziende per agevolare l’infiltrazione delle cosche nel tessuto economico nazionale.
L’ipotesi è che l’imprenditore, attraverso società cartiere gestite da prestanome, avrebbe emesso fatture per operazioni inesistenti mantenendo un rapporto privilegiato con i vertici delle cosche di San Leonardo di Cutro e di Roccabernarda, con lo scopo di agevolarli.
Un elemento che sarebbe confermato anche da dichiarazioni di collaboratori di giustizia e da intercettazioni che avrebbero restituito l’esistenza e l’operatività di diversi gruppi, e fra questi l’associazione che si sospetta avesse al vertice proprio l’imprenditore.
Quest’ultimo, poi, avrebbe contato su una rete di società definite dagli investigatori come “strumentali alla realizzazione delle finalità del sodalizio, attraverso l’autoriciclaggio e le intestazioni fittizie”.
Gli accertamenti patrimoniali disposti, hanno consentito di rilevare come i beni intestati o, comunque, riconducibili all’uomo possano essere dunque il frutto o reimpiego di attività illecite ed, in ogni caso, sono ritenute di un valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati.
IL SEQUESTRO, ai fini della confisca, ai sensi della normativa antimafia, è stato disposto dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Catanzaro su proposta formulata congiuntamente dal Procuratore della Repubblica del capoluogo di regione e dal Direttore della DIA.