Contrasto alla pesca abusiva, cinque imbarcazioni fermate all’alba al largo di Palmi
Alle prime luci dell’alba di oggi, a seguito di una segnalazione pervenuta alla sala operativa della Capitaneria di Porto di Gioia Tauro, inerente la presenza di alcune imbarcazioni intente a pescare con attrezzi non consentiti in prossimità della foce del fiume Mesima, è prontamente intervenuta sui luoghi una pattuglia terrestre della Guardia Costiera gioiese.
Giunti sul luogo indicato, i militari hanno scorto la presenza, a poca distanza dalla costa, di cinque natanti da diporto a motore intenti ad effettuare attività di pesca con attrezzi professionali (reti da posta). Poco dopo veniva quindi inviata una motovedetta che, non appena arrivata, ha causato l'improvvisa fuga delle imbarcazioni, che hanno subito fatto rotta in direzione sud a velocità sostenuta.
Invertita la rotta, anche la motovedetta si dirigeva presso il porto di Taureana di Palmi e, durante l’inseguimento, rilevava che due dei natanti si avvicinavano alla costa e precisamente verso la località La Quiete, ove veniva dirottata la pattuglia terrestre. Qui, tuttavia, i militari non individuavano la presenza di alcun natante, e, pertanto, proseguivano, a supporto dei colleghi, presso il porto di Taureana di Palmi.
Giunti in porto, unitamente ad un’altra pattuglia e ad una volante della Polizia di Stato, individuavano i suddetti natanti e procedevano alle verifiche del caso. In particolare a bordo di due dei cinque natanti veniva rilevata la presenza di due attrezzi da pesca professionale ancora bagnati (rete da posta e tremaglio) di dimensioni rispettivamente di 150 e di 60 metri nei quali erano ancora impigliati circa 7 chili di pesce di varia specie. I suddetti attrezzi ed il relativo prodotto ittico venivano posti sotto sequestro e presi in consegna dalla Guardia Costiera.
Le successive verifiche portavano all’individuazione dei proprietari dei due natanti fermati, che, convocati presso gli Uffici della Capitaneria di Porto di Gioia Tauro, venivano identificati e nei loro confronti venivano elevati due verbali amministrativi da mille a 3 mila euro ciascuno. Il pescato, ancora vivo, e dichiarato idoneo al consumo alimentare a cura della competente Autorità Sanitaria, veniva ceduto in beneficienza alla Caritas Diocesana.