Conversazioni de L’Agorà, riflettori sulla rivolta operaia di Berlino Est del 1953
“Nel settantunesimo della Rivolta operaia di Berlino Est del 17 giugno 1953” è il titolo della conversazione organizzata dal Circolo Culturale “L'Agorà”.
Nel corso della giornata di studi, predisposta dal sodalizio reggino, saranno oggetto di analisi diverse cifre relative agli eventi che si svolsero nella parte orientale della Germania.
Il nuovo incontro ha registrato la presenza come relatore di Gianni Aiello, Presidente de L’Agorà che illustrerò una serie di indagini, scaturite da pazienti ed articolate ricerche, su testi e documenti archivistici, condotte dallo stesso.
Otto anni dopo la caduta del “Reich millenario” nessuno credeva possibile, né politici né intellettuali, che le dittature potessero essere sconfitte dall’interno. L’esperienza con il nazionalsocialismo tedesco e quella con il bolscevismo sovietico suggerivano altri scenari.
Nel 1953 Stato e società della Repubblica democratica tedesca si trovavano in una crisi profonda, che non risparmiava nessuno. Già nell’estate precedente il tenore di vita della popolazione era a livelli molto bassi e la situazione peggiorò ulteriormente con la decisione di perseverare nello sviluppo dell’industria pesante, obiettivo rinnovato nell'estate del 1952 per la “costruzione del socialismo”.
Milioni di persone vivevano ai limiti della povertà, molti al di sotto. Così il governo comunista di Walter Ulbricht tentò di mettere ordine con il terrore: per reati insignificanti furono inflitte pesanti pene detentive.
Nella prima metà dell’anno s’impennò il numero di quelli che scappavano dal Paese ma la dirigenza della Sed (il Partito socialista unitario) continuava come se nulla fosse: con durezza e senza scrupoli.
Dopo la morte di Stalin, il 5 marzo 1953, il nuovo gruppo dirigente sovietico a Mosca, che nella Repubblica democratica tedesca aveva l’ultima parola in tutte le questioni, cominciò ad analizzare la situazione. Si arrivò alla conclusione - su questo erano d’accordo tutti gli eredi di Stalin, nonostante le feroci discussioni tra loro - che la Repubblica democratica tedesca sarebbe andata in pezzi se l’esodo di quanti lasciarono il Paese non si fosse fermato.
Ai primi di giugno, Ulbricht, il potente governatore di Mosca a Berlino Est, venne convocato nella capitale sovietica, dove gli venne comunicato che avrebbe dovuto annunciare immediatamente un “nuovo corso”: effettivamente, al suo rientro a Berlino, tra il 10 e l’11 giugno questo progetto si concretizzò.
In sintesi, il “nuovo corso” prevedeva di annullare una gran parte della politica avviata dal 1952: la lotta contro le chiese, il ceto medio e i contadini venne (almeno per il momento) sospesa, sentenze motivate politicamente dovevano essere controllate e riviste, misure di politica sociale avrebbero dovuto migliorare concretamente la precaria quotidianità.
Il partito venne completamente spiazzato da questo radicale cambio di rotta e per giorni, dal momento che non c’erano ulteriori istruzioni, si rivelò del tutto incapace di agire, come pure l’intero apparato statuale e di potere.
La società, anch’essa colta del tutto di sorpresa, interpretò questa ammissione di aver commesso errori come una dichiarazione di bancarotta del sistema.
Il partito venne colto del tutto di sorpresa e per giorni si rivelò del tutto incapace di agire, come pure l’intero apparato statuale e di potere. Già il 12 giugno in numerose città si registrarono assembramenti di fronte alle prigioni per chiedere il rilascio dei prigionieri politici: ed effettivamente, nel Brandeburgo e altrove, queste richieste vennero accolte!
Dal 13 giugno la Sed, i sindacati la polizia e la Stasi dovettero fare i conti con richieste sempre più forti di dimissioni del governo e di libere elezioni. Si sciolsero le cooperative agricole costituite con violenza, i lavoratori minacciano scioperi, si levò la richiesta per una rifondazione della Spd, il Partito socialdemocratico [nel 1946 in quella che era la zona di occupazione sovietica la Spd era stata obbligata a fondersi con la Kpd, il partito comunista, nella Sed, e di liberi sindacati.
Ovunque si levava la richiesta di un trattato di pace con la Germania e le Potenze alleate e la ricostituzione dell’unità nazionale. Il 16 giugno scoppiarono grandi scioperi a Berlino Est, in particolare nei grandi e prestigiosi cantieri sulla Stalinallee e all’ospedale di Friedrichshain.
Emittenti radiofoniche occidentali, soprattutto Rias, raccontarono gli eventi. Il 17 giugno la vita a Berlino Est si paralizza ulteriormente: quasi tutti i cantieri e le grandi imprese erano in sciopero, centinaia di migliaia manifestano nel centro della città.
La scintilla si diffuse in tutto il Paese: in oltre settecento città e comuni manifestava, scioperava e protestava quasi un milione di persone. Alla fine, furono i militari sovietici a reprimere la rivolta.
Obiettivi centrali erano libere elezioni, il ripristino dell’unità tedesca, nonché il miglioramento delle condizioni di vita. La rivolta non aveva alcuna possibilità di successo: metteva in discussione l’ordine del dopoguerra stabilito a Jalta e Potsdam.Le immagini di Berlino Est, nelle quali giovani attaccano i carri armati con pietre e bottiglie, diventate presto famose in tutto il mondo, erano tutt’altro che normali in quel momento.
Queste alcune delle cifre che sono state oggetto di analisi da parte di Gianni Aiello. La conversazione, organizzata dal sodalizio culturale reggino, sarà disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, a far data da lunedì 17 giugno.