Castrovillari. Gli abiti delle detenute sfilano all’I-Fest International Film Festival
Sabato scorso, 14 settembre, è stata una giornata indimenticabile per i detenuti nel penitenziario di Castrovillari. È giunta infatti alla quinta edizione la partecipazione dell’istituto all’I-Fest, un grande evento culturale e cinematografico di carattere internazionale.
Il direttore artistico Panebianco, infatti, ha voluto creare, nell’ambito della manifestazione, una apposita sezione denominata Cinema senza Confini, dedicata alle persone recluse che, insieme agli altri operatori penitenziari, costituiscono Giuria critica e conferiscono il premio al cortometraggio ritenuto meritevole.
L’importanza di questo compito è stata sottolineata anche dalla visita ai detenuti dal noto regista Luca Miniero, che si è recato al penitenziario e si è intrattenuto con la popolazione ristretta, spiegandogli il ruolo della settima arte, secondo la sua concezione, ma anche rispondendo a domande di cinema e di carattere culturale.
L’evento si è concluso con la serata di Gala dell’i-Fest International Film Festival all’interno del prestigioso Castello Aragonese di Castrovillari, in cui non solo è stato premiato il cortometraggio vincitore, “7 secondi” del regista Filippo Susinno.
Ma è stata presentata anche una collezione di abiti realizzati nella sartoria del penitenziario, dipinti a mano dalle detenute in collaborazione con il Rotary Club Cosenza Nord ed inserito nel Progetto “Nuove storie da cucire insieme”, un corso di cucito artistico-creativo, fortemente voluto dalla Presidente del Club Antonietta Converso.
Converso ha quindi evidenziato come l’iniziativa della creazione di abiti sartoriali dipinti a mano presenti una doppia finalità: “una liberatoria, “catartica”, che si estrinseca attraverso l’arte del dipingere, che consente di elaborare emozioni legate ad esperienze di vita particolari e dolorose, talvolta anche solo difficili da narrare all’altro”.
Un’altra finalità è quella professionalizzante, “nel senso di far acquisire l’arte del cucito, di far apprendere, in sostanza, un mestiere, utile per ricostruire nuove storie, nuove identità e nuove dignità, per contribuire a dare prospettive di futuro e reinserimento nella società”.
Il primo, tangibile, risultato del Corso di cucito artistico-creativo, iniziato nel mese di luglio e al quale hanno aderito con entusiasmo ben dieci detenute, sono stati i bellissimi abiti realizzati finora, che sono stati indossati, alla presenza di un folto pubblico entusiasta, da Lucia Iaquinta (Socia del Rotary Cosenza Nord), Annamaria Clausi, (moglie del socio Umberto Greco), da Elena Calderaro e Federica Petrassi (Socie del Rotaract di Cosenza), che hanno abbracciato la presenza di Francesca (la ragazza ospite della Casa Circondariale, delegata a rappresentare tutte coloro che hanno cucito, insieme, questa bellissima storia).
Quest’ultima, commossa ha salutato tutti esclamando: “Per me questo abito rappresenta un lavoro di collaborazione con le mie compagne detenute, ed è tempo speso bene!”
Il Direttore Carrà ha affermato che quest’incontro voleva e vuole essere “la continuazione del percorso avviato per parlare con la collettività sul tema e di come sia necessario oggi più che mai investire seriamente in cultura della legalità tra i giovani e con i giovani”.
“La riflessione – ha proseguito - riguarda proprio il dolore di chi non è stato fortunato nel nascere in una famiglia sana. La frattura di chi vorrebbe uscire dalla rete della criminalità ma per paura non ci riesce, la preoccupazione di colui che teme di uscire peggiore rispetto a quando è stato varcato il cancello e, di conseguenza, il terrore di non avere nuove prospettive di vita”.
“C’è una domanda che ciascuno di noi dovrebbe sempre porsi quando entra in relazione con queste persone: e se questo fosse fatto a te? Quando qualcosa ti fa soffrire hai due possibilità nella vita: comportarti come loro, oppure rimanere te stesso e permettere al dolore di migliorarti. Ecco la funzione della pena: «Il tempo speso bene» come ha detto la detenuta che ha partecipato alla serata di Gala”.
Il modello di detenzione che il Direttore Carrà sta perseguendo da anni è frutto di analisi scientifica e metodologica mirata ad un’ottica di ripensamento della funzione della pena in cui è necessario bilanciare l’esigenza di scurezza ad una pedagogia criminale finalizzata al trattamento individualizzato di ciascun recluso.
Il dirigente si è detto sempre più convinto che “la fermezza delle regole e il dialogo responsabile con la popolazione detenuta sia lo strumento efficace, in questo momento, più che mai per fermare o quantomeno arginare le importanti criticità che si vivono all’interno. Si pensi ai detenuti con patologie psichiatriche, ai suicidi, ai detenuti stranieri, alle criticità delle strutture a cui si accompagna una gravissima carenza di personale di polizia penitenziaria”.