Nei prossimi giorni in libreria uscirà “Agguato a Giacomo Mancini”
Dopo essere stato rinviato a giudizio, tra Natale e Capodanno del 1994, e per questo sospeso dalla carica di Sindaco di Cosenza, alla quale era stato eletto nel dicembre 1993, il 25 marzo 1996, l’On. Giacomo Mancini, uno dei politici italiani più prestigiosi del dopoguerra, segretario nazionale del Psi, parlamentare di lungo corso, più volte Ministro negli anni del centrosinistra, veniva condannato dal Tribunale di Palmi a tre anni e sei mesi per concorso esterno in associazione mafiosa.
Alla formulazione di quella gravissima sentenza avevano contribuito numerosi pentiti, il cui anomalo utilizzo ma, ancor più, l’inquietante inattendibilità delle loro dichiarazioni, dimostrata nelle diverse fasi processuali che avevano preceduto il verdetto, erano stati messi in luce dai difensori di Mancini, rimasti però inascoltati.
Sia, infatti, le prove esibite dagli avvocati Marcello Gallo, Tommaso Sorrentino e Enzo Paolini, a dimostrazione della innocenza del loro assistito, che le macroscopiche e clamorose contraddizioni in cui erano ripetutamente incorsi i sedicenti collaboratori di giustizia, unite a ricostruzioni di fatti e momenti, posti a fondamento del processo, risultati o mai accaduti o disinvoltamente stravolti, sia temporalmente che sostanzialmente, erano stati considerati irrilevanti dal collegio giudicante. Nè avevano sortito l’effetto sperato le testimonianze di autorevoli esponenti di Governo, parlamentari, uomini di cultura, e finanche di un ex Capo dello Stato, circa l’impegno contro la mafia condotto da Mancini in oltre cinquant’anni di attività politica, tra i banchi di Montecitorio e nelle difficili responsabilità di Governo alle quali era stato chiamato.
Poco più di un anno dopo dal giudizio di primo grado, il 24 giugno 1997, la Corte d’Appello di Reggio Calabria annullava la sentenza di Palmi per incompetenza territoriale, rimandando tutti gli atti a Catanzaro. Dopo un’istruttoria durata quindici mesi, la procura distrettuale del capoluogo calabrese chiedeva nuovamente il rinvio a giudizio di Mancini e la sua condanna a due anni e quattro mesi.
Alla fine di un processo svoltosi, per volontà dello stesso imputato, con il rito abbreviato, il 19 novembre 1999 Mancini veniva assolto perché “il fatto non sussiste”.
Finiva così un incubo giudiziario assurto per molti versi ad emblema del particolare momento vissuto dal Paese nei primi anni novanta, e coinciso con il fenomeno di “Mani Pulite”, il disfacimento della classe politica della Prima Repubblica e la frantumazione del sistema dei partiti che fino ad allora avevano governato l’Italia.
Quella vicenda, di cui si occuparono a lungo i media nazionali ed internazionali, e che venne caratterizzata da ripetute e gravissime iniziative, contrarie ai principi fondamentali della democrazia e del diritto, viene oggi raccontata da uno dei suoi difensori, l’avvocato Enzo Paolini, in una lunga e appassionante conversazione con il giornalista di “Gazzetta del Sud” Francesco Kostner.
Ogni fase, dalle prime accuse contro Mancini all’esito finale del processo, viene puntualmente ricostruita in questo lavoro che, per diverse ragioni, di carattere storico-politico-giudiziario, è destinato a suscitare un dibattito attento e partecipato nel nostro Paese.
A partire da una duplice, interessante valutazione: che, cioè, se la vicenda Mancini divenne, certamente insieme ad altre, il paradigma di come settori della Magistratura, in un particolare momento storico, intesero o pensarono di attribuirsi una sorta di prerogativa riguardo alla possibilità di influire, e finanche di condizionare, la scelta della classe politica italiana, a tutti i livelli, essa, allo stesso tempo, rappresentò la dimostrazione di una prova di forza e di coscienza democratica di indiscutibile valore e significato. Non passarono inosservati, infatti, allora, e rappresentano un elemento di particolare rilievo ancora oggi, nella ricostruzione proposta nel volume, non solo la coraggiosa e ostinata “resistenza” dell’ex parlamentare socialista contro le accuse che gli venivano rivolte, ma l’atteggiamento di un’intera comunità, quella cosentina e calabrese, che seppe dimostrare, attraverso le urne, di credere nell’innocenza di Giacomo Mancini riconfermandolo, nel 1997, alla guida della città e anticipando il verdetto della definitiva assoluzione che arrivò solo due anni più tardi.
Un no deciso a qualunque ingerenza estranea al libero gioco democratico e in grado di scardinare l’ordinario esercizio delle prerogative costituzionali riconosciute ad ogni cittadino e poste a base della nostra Repubblica e dei suoi irrinunciabili valori.
Una volontà che rappresenta, e sarà sempre considerata, come momento alto e significativo della storia italiana, e come il simbolo di un processo di maturazione civile e democratica che bisogna augurarsi si rafforzi costantemente nel tempo.
Enzo Paolini, avvocato, ha difeso Giacomo Mancini nel processo a suo carico, per concorso esterno in associazione mafiosa, con i colleghi Marcello Gallo e Tommaso Sorrentino.
Francesco Kostner, giornalista, cura la pagina Arte, Cultura e Spettacolo in Calabria del quotidiano “Gazzetta del Sud”. Ha pubblicato, tra gli altri, i libri intervista “La lunga ombra di Yalta”, con Gianni De Michelis (2003) e “Con Saragat al Quirinale”, insieme a Costantino Belluscio (2004), entrambi per le edizioni Marsilio.