Tradizioni. S’avvicina Natale, è il tempo del maiale. Ma occhio allo scirocco
Un vecchio adagio popolare, assegna al maiale, un pregio notevole: del suo corpo non si butta mai niente. Un altro, poi, sottolinea l’importanza dell’uccisione del maiale in questo lembo di Marchesato del Crotonese: “Un uomo è contento tre volte nella vita: primo, quando si sposa; secondo, quando si fa la barba; terzo, quando uccide il maiale”. E le operazioni e le fatiche dei giorni successivi all’uccisione del maiale coinvolgono tutta la famiglia; i prodotti della “provvista” si conservano per i mesi invernali. Con la carne e il grasso si ottengono la “sugna”, le salsicce, la gelatina e le “frittule” (la cotenna bollita insieme alle ossa). Di solito, il maiale si uccide nel periodo natalizio. Un uomo, molto esperto, taglia la gola ai suini; poi, metodicamente, da una “menzena” dell’animale appesa, con la punta del coltello, affilatissima, toglie parti dall’interno. Il nemico in agguato era lo scirocco, che poteva arrecare danno alla carne. Si lavano accuratamente gli intestini, con sale, farina e limone, e si taglia la carne, bianca e rossa, in pezzettini. Così, montagnole di carne giacciono sul tavolo, dove vengono salati e pepati. Il lavoro, frenetico, viene interrotto solo per pranzare e cenare, naturalmente a base di carne. Se in passato la provvista compensava i disagi per la mancanza di certi generi alimentari, ora è una riscoperta della genuinità. Si procede alla bollitura dei “rimasugli” in un grosso tegame, magistralmente stagnato. Si bollono a fuoco lento, di continuo, per ore. Il mestolone deve girare sempre, per evitare che i rimasugli si attacchino alla pentola. Nel pentolone trovano posto cotiche, pezzi di piede, qualche pezzo di carne. I residui non sciolti di grosso fanno i “frisimuli”. Quando si uccideva il maiale, si invitavano per l’occasione parenti stretti e i compari per la tavolata. La prima sera, dopo l’uccisione, si faceva la frissurata; il terzo giorno, invece, si facevano le frittule e gli ossi, la c.d. frittulata. Tutta la famiglia si ritrova per l’uccisione del maiale come ad una festa. Una grave offesa veniva considerata dai parenti e dagli amici quando il proprietario del maiale si dimenticava di loro nella spartizione. Tradizione vuole che dopo tre giorni dall’uccisione del maiale, si procede alla spartizione della pancetta, delle “purmunare” (salsicce fatte con i polmoni) e delle costate, per intimi e vicini. Le provviste dovevano durare fino all’anno successivo, e quindi bisognava razionarle: prima si mangiavano i lardi, poi le purmunere, poi le costate e solo verso la fine, le salsicce, le soppressate e i capicolli. Con il sangue si fa il sanguinaccio. Ancora nelle campagne petiline e mesorachesi, si sentono questi odori e sapori che richiamano memorie passate. Gli insaccati erano accuratamente preparati: i budelli delle salsicce venivano punte con grossi aghi, per far uscire l’aria; le soppressate, poi, venivano messe alla pressa, e poi appese o messe sott’olio.