Operazione Meta: scarcerato Vincenzo Verduci

Reggio Calabria Cronaca
Antonio napoli

Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria (Dottoressa Caterina Catalano, presidente, Dottori Eugenio Aliquò e Margherita Amodeo a latere) ha accolto il ricorso in appello dei difensori di Vincenzo Verduci, Avvocati Antonino Napoli e Luciano Battista, avverso il rigetto dell’istanza di scarcerazione pronunciato dal Giudice delle Indagini Preliminari nell’ambito del processo “Meta”.

Al Verduci viene contestato il reato di estorsione e danneggiamento aggravato dal metodo mafioso per aver organizzato il tentativo di estorsione di un fondo di proprietà di Buceto Vincenzo e nell’interesse del quale avrebbero agito Rocco Morfea (deceduto), Giuseppe Antonio Italiano (deceduto), Giasone Italiano e Domenico Rugolo anche con la commissione di diversi atti intimidatori e di danneggiamento di beni nella disponibilità della famiglia Buceto (un frantoio oleario della cooperativa “Delia” di cui era presidente Guadagnino Giuseppe, genero di Buceto Vincenzo e dieci bobine di reti per la raccolta delle olive).

Le indagini svolte dal Reparto Operativo dei Carabinieri del colonnello Giardina avevano portato ad individuare in Vincenzo Verduci il “Cecè” a cui si faceva riferimento nell’intercettazione ambientale captata a Reggio Calabria nell’abitazione di Cosimo Alvaro.

Grazie alle indagini difensive svolte con attenzione e con dovizia di particolari dagli avvocati Antonino Napoli e Luciano Battista, difensori del Verduci, che hanno analizzato e contestato, anche documentalmente, ogni passaggio del colloquio ambientale intercettato sono emersi una serie di elementi di novità idonei a determinare la revoca della custodia cautelare in carcere durata quasi un anno e sette mesi.

Durante le indagini preliminari la difesa aveva chiesto un incidente probatorio al fine di identificare esattamente il soggetto che i conversanti nelle intercettazioni ambientali chiamavano con l’appellativo “Cecè”. La perizia, affidata all’ing. Paoloni, mentre la difesa aveva nominato quale proprio consulente il prof. Luciano Romito, ha escluso che i conversanti abbiano mai pronunciato il cognome Verduci.

La difesa ha, altresì, dimostrato l’erroneità del presupposto accusatorio attinente all’interesse di Vincenzo Verduci sul fondo di Buceto Vincenzo.

Tutti i soggetti escussi sia da parte della Polizia Giudiziaria, su sollecitazione della difesa, sia da parte della difesa, tramite lo strumento delle indagini difensive, hanno riferito che Verduci era interessato all’acquisto del fondo appartenente a Domenico Buceto giammai a quello di cui era titolare Vincenzo Buceto, suocero di Giuseppe Guadagnino, oggetto dei gravi atti di intimidazione e danneggiamento per il rifiuto opposto alle richieste loro rivolte.

La difesa ha evidenziato, in sede di discussione, che l’esame attento dell’intercettazione ambientale esclude che il “Cecè” cui si faceva riferimento nel colloquio fosse Vincenzo Verduci poiché Giuseppe Guadagnino, nella conversazione captata, pronuncerebbe la seguente frase: un pezzo della via di sotto, un poco della via di sotto, la dove limitate ve lo prendete e zitto ….” che escluderebbe il riferimento a Cecè Verduci poiché i fondi della famiglia Verduci e quelli di Vincenzo Buceto non confinano tra loro.

Vincenzo Verduci potrà, pertanto, partecipare da libero all’udienza che si terrà il prossimo 20 dicembre davanti al Tribunale collegiale di Palmi ove una tranche del processo Meta è stata spostata, dopo che il Tribunale di Reggio Calabria - presieduto dalla presidente Grasso – ha accolto l’eccezione di incompetenza per territorio sollevata dall’avvocato Antonino Napoli.

L’avvocato Antonino Napoli nel commentare la notizia della scarcerazione del proprio assistito ha affermato: “Come difesa, abbiamo sempre ritenuto che l’arresto di Vincenzo Verduci sia stato il frutto di un errore giudiziario e le indagini difensive ci hanno dato ragione. Per fortuna, anche se i tempi della giustizia a volte sono lenti, il nostro ordinamento processuale riesce, attraverso il sistema delle impugnazioni a porre i rimedi alle patologie ed ai vizi di ordinanze applicative della custodia in carcere francamente ingiuste perché, come sosteneva Socrate, l'ingiustizia non è delle leggi, ma degli uomini che le hanno applicate male”.