Rita Bernardini dei Radicali in visita al carcere di Castrovillari

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"Se è vero - e lo è - che la strage di legalità ha per inevitabile corollario la strage di popoli, la visita al carcere di Castrovillari ce lo ha confermato". E' quanto scrive in una nota Maurizio Bolognetti della direzione dei Radicali italiani."Giovedì 29 dicembre - continua Bolognetti - con Rita Bernardini stiamo attraversando quell’autentico percorso ad ostacoli che è la Salerno-Reggio. La nostra meta è Castrovillari (CS), dove ci aspetta Salvatore Moscato Tesoriere dell’Associazione Calabria Radicale. In macchina - scrive ancora Bolognetti - parliamo del carcere calabrese e di un dato inquietante: 9 suicidi negli ultimi dieci anni".

L'entrata è stata alle 11. "Siamo accolti - racconta Bolognetti - dal sorriso e dalla cortesia di un agente del “nucleo traduzioni”, che affranto ci mostra il decadente parco macchine. Ci dicono che il carcere è stato aperto nel ’95: ben 11 anni dopo la sua costruzione. Un altro agente, nel corso della visita, quasi sussurra: “Castrovillari è dimenticato da tutta la Calabria”. Entriamo e iniziamo il nostro giro accompagnati dal Commissario Grazia Salerno e dalla educatrice presente al momento della visita, che tiene a sottolineare che “tutti i permessanti sono regolarmente rientrati”, e poi aggiunge: “Qui trovate solo reati connessi alla miseria”. Appena entriamo, i nostri accompagnatori non mancano di sottolineare le evidenti infiltrazioni d’acqua nel corridoio del piano terra.

Le celle, i “cubicoli” di due metri per tre, sono decisamente anguste e sprovviste sia di doccia che di acqua calda; nate per ospitare una sola persona, nella stragrande maggioranza dei casi attualmente ne ospitano 3, alloggiate in letti a castello. Un detenuto ci racconta di essersi rotto l’omero precipitando dal letto. Complessivamente 3 ore e mezzo d’aria e due di socialità. Qualche detenuto, riferendosi allo spazio passeggio, arriva a dire che preferisce rimanere in cella. In effetti, di lì a poco verifichiamo che lo spazio destinato alle ore d’aria deve essere stato concepito da una mente disturbata.

Nell’istituto - scrive ancora Bolognetti - sono presenti due reparti: una sezione maschile e una femminile. Complessivamente 260 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 128 posti. Tra le sezioni, una dedicata ai cosiddetti “sex-offender” e una definita mista, destinata ai “casi problematici”. I detenuti tossicodipendenti sono al momento 25, una percentuale di gran lunga inferiore alla media nazionale. Nel carcere risultano in servizio due educatori, di cui una in maternità (ne occorrerebbero tre); uno psicologo in servizio tutta la settimana, ma carenze e difficoltà vengono denunciate sul fronte dell’assistenza psichiatrica. Sempre sul fronte sanitario da registrare la presenza di un infermiere per turno e la necessità di incrementare il numero di ore. L’apparecchiatura dentistica presente nell’istituto è in attesa di riparazione da due anni e al momento è possibile solo estrarre i denti. A parere del personale infermieristico, sarebbe utile poter disporre di un ecografo. Il medico presente parla di 40 casi psichiatrici.

I detenuti che riescono ad accedere ad attività lavorative sono una trentina (poco più del 10 per cento) e a questi bisogna aggiungere 7 art. 21, che lavorano come operatori ecologici (raccolta differenziata). Nel corso della visita e dei colloqui tra Rita e i detenuti - scrive ancora Bolognetti - emerge tutto il disagio di una detenzione in una struttura sovraffollata e soffocante. Cosimo, 67 anni, ha subito un intervento al cuore e gli è stato installato un peacemaker; da luglio è in attesa di un esame per verificare un’insufficienza respiratoria. In un'altra cella c’è chi lamenta problemi per una visita odontoiatrica: negli occhi di tutti il disagio di dover vivere in celle lontanissime dalla legalità. L’educatrice che, al pari degli agenti, si danna l’anima per mantenere la baracca, ci racconta che sono circa 60 i detenuti che vanno a scuola tra elementari, media, alberghiero e Itis. Un lampo, quando racconta fiduciosa che il comune dovrebbe dare al carcere due ettari di terreno in comodato d’uso e, chissà, forse partiranno dei corsi.

Ma il disagio di un carcere, che è ghetto, esplode nel triste elenco dei suicidi. Nel 2009, a togliersi la vita a distanza di pochi giorni sono stati in due: il 10 settembre un detenuto cileno; il 19 C.N. Italiano. E ancora, il 13 ottobre 2011, come riportano le cronache e come ci viene confermato dal Commissario, dottoressa Salerno, si è suicidato un detenuto rumeno di 37 anni. Pochi mesi prima, a febbraio, si era suicidato Vasile Gavrilas, anche lui rumeno e anche lui trentasettenne. Una scia di morte nella quale trova posto anche una vicenda piuttosto inquietante: il suicidio dell’Agente di Polizia Penitenziaria Fabrizia Gravinese, accusata di spaccio di sostanze stupefacenti, impiccatasi in cella nel maggio del 2008. A sconcertare, il fatto che la Gravinese sia stata tradotta nello stesso penitenziario presso il quale aveva lavorato fino al momento dell’arresto. Nel commentare la vicenda, l’Osappe ebbe a dichiarare che ''Normalmente gli addetti alle forze di polizia sono trasferiti in carceri militari proprio per evitare il contatto con la popolazione detenuta''.

Nella sezione femminile del carcere calabrese - scrive Bolognetti - come abbiamo potuto verificare, la cella teatro del suicidio è tutt’ora sotto sequestro. Una cella ubicata a pochi passi dalla cella numero 3, dove abbiamo incontrato una mamma che da cinque mesi vive la detenzione in compagnia del suo bambino. Il personale del carcere ci ha riferito che il piccolo, che ha due anni e mezzo, da quando è entrato in carcere ha subito un regresso linguistico. Il bambino attende da mesi una visita pediatrica che non arriva e da agosto alcune vaccinazioni. Istantanee, quelle che ricaviamo dalla visita a Castrovillari, che danno corpo a quella frase: “un consistente e allarmante nucleo di nuova shoah.”

La visita è quasi terminata quando chiediamo alla dottoressa Salerno e al direttore a scavalco notizie di un progetto, sulla carta rivoluzionario: vogliamo visitare il canile del carcere, destinato alla cosiddetta “pet terapy”. Del progetto, denominato Argo, si inizia a parlare nel 2007, per dare concreta applicazione ad uno studio condotto dal DAP che evidenziava l’utilità di iniziative volte ad affidare ai detenuti la cura degli amici a quattro zampe. Il progetto viene inaugurato nel novembre del 2009 e su strilli.it viene annunciato: “I detenuti si dedicheranno da oggi, nella stessa area penitenziaria, alla cura di alcuni cani randagi, appositamente sistemati in un canile, costruito dal Comune. L’iniziativa, denominata “Argo”, è stata, infatti, resa possibile da una sinergia tra Comune, Casa Circondariale ed Azienda Sanitaria, e presentata questa mattina, con l’inaugurazione del “canile”, in una conferenza stampa, nella sala convegni del penitenziario del capoluogo del Pollino”. Fatto sta, che due anni dopo, il progetto Argo per ammissione della stessa direzione sembra essere miseramente fallito.Arrivati davanti alle gabbie - conclude la nota di Bolognetti - dove sono malamente alloggiati una 15 di animaletti letteralmente disperati, e tra questi anche uno azzoppato, ci è sembrato di leggere nei loro occhi solo la disperazione di una vita in cella e senza speranza. Quasi una metafora delle nostre patrie galere".


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