Lentini e Prati: “L’Europa dei popoli contro l’Europa della moneta”
Riceviamo e pubblichiamo il comunicato degli assessori Ubaldo Prati e Giovanni Lentini
"Davvero possiamo dire che il processo dell’unità europea ha raggiunto oggi il punto più alto del percorso? Certo, esistono il Parlamento europeo, la Commissione, tanti altri organismi comunitari, leggi comuni, ma basta osservare da vicino le vicende economiche e politiche degli ultimi tempi per capire che lo spirito europeo è, forse, al suo livello più basso e che la percezione della utilità e necessità storica dell’unità è in caduta libera. Questo avviene perché alla fine l’Europa è stata ridotta a una pura funzione economica, priva di sentimento, arida, incapace di evocare passione, senso di appartenenza, identità. I popoli non hanno più compreso l’evoluzione di un’idea che si è sempre di più allontanata dall’ispirazione dei grandi padri europeisti (Manifesto di Ventotene) per diventare solo finanza, banche, bilanci e, alla fine, come purtroppo ci stanno insegnando i fatti di questi ultimi anni, restrizioni durissime del tenore di vita della gente e di conquiste sociali che pure erano state frutto del lavoro di tante generazioni e della convergenza di politiche umanistiche di diversa origine e ispirazione, ma tutte incentrate sulla tutela della persona e della sua dignità.
Oggi sembra che l’unico parametro che conta è il numero, nella sua cruda asciuttezza e asetticità.
Legittimamente, quindi, i popoli stentano a riconoscersi in una costruzione dove persino il diritto alla salute e il dovere di garantire le cure sanitarie vengono colpiti o messi in discussione sull’altare della nuova idolatria del pareggio di bilancio, della moneta al di sopra di tutto. Diritti e doveri inalienabili come questi o come quelli relativi al lavoro, che lo Stato deve assicurare ai suoi cittadini perché abbiano un’esistenza libera e dignitosa, esplicitamente e solennemente tutelati dalla nostra Costituzione, sono subordinati alla tenuta dei conti, come se la salute del cittadino o il suo lavoro non fossero un bene in sé, una ricchezza sociale, ma un possibile spreco e, pertanto, una fonte di disavanzo da eliminare perché così vogliono i mercati. Che Europa è questa? In quali cuori può far breccia un simile mostro? Con cieca, ottusa, tetragona logica ragionieristica chi ha lo scettro del comando oggi in Europa fa finta di non vedere il sordo rancore che sta covando nei settori della società sempre più impoveriti e indifesi di fronte alla crisi economica scatenata dalla speculazione finanziaria, dall’economia di carta che sta distruggendo l’economia reale, cancellando lavoro, tutele sociali e, lentamente, persino modelli di democrazia. Con irresponsabile, cinica freddezza si accarezza l’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’UE, come se un’Europa senza uno dei paesi che hanno dettato il cammino spirituale del nostro continente, la sua cultura, la sua civiltà, fosse lontanamente concepibile e ammissibile. E che Europa sarebbe? Che sarebbe se rinnegasse le sue radici cristiane, che hanno accompagnato nei secoli lo svolgersi della storia europea diventando il collante fondamentale di un comune sentimento di appartenenza e di identità dei popoli? Il giorno in cui dovessimo assistere a un processo di scristianizzazione dell’Europa, come in qualche modo sta già avvenendo, riprenderebbe forza e vigore la tendenza all’isolamento, la contrapposizione tra nazioni ed etnie, l’egoismo del più forte contro i più deboli. Come Sud dell’Italia, come Calabria, non avremmo nulla da guadagnarci. Saremmo perdenti con le nostre arretratezze, la nostra economia arcaica e priva di mercati, le nostre istituzioni oggetto permanente di conquista da parte di poteri forti interessati alla cura dei propri obiettivi particolaristici e al controllo dello Stato.
Occorre rilanciare, quindi, l’ideale europeo, dandogli nuovo slancio, rinnovate motivazioni, basi federaliste che portino comunque a un’Europa politica dei popoli, a un’Europa nazione che condivida la politica estera, la difesa, le politiche di integrazione e di accoglienza, le politiche sociali e di bilancio, che, soprattutto, sia in questo modo in grado di fronteggiare i nuovi giganti dell’economia mondiale, le sfide dei mercati finanziari, le bolle speculative e qualche rinnovata vocazione teutonica a un improponibile neoimperialismo. E’ un discorso che va rivolto prevalentemente alle giovani generazioni, che, per formazione, per scambi culturali, per mobilità, per il flusso di contatti che avviene quotidianamente nel villaggio globale della rete, già vivono l’Europa come una seconda patria e sono magnificamente privi di barriere ideologiche e di orpelli nazionalistici nel senso più retrivo del termine. Ma anche noi crotonesi dobbiamo capire che la nostra vicenda storica può avere un futuro solo se resta racchiusa e riconosciuta all’interno della più complessa vicenda europea. Siamo il ponte di collegamento e di comunicazione tra culture e popoli che cercano di incontrarsi, che rivendicano lo spazio di vita, che aspirano a costruire il loro cammino con legittima voglia di protagonismo. Siamo una provincia dell’Europa pienamente incastonata, per collocazione geografica, trama storica, influssi culturali, nel bacino del Mediterraneo. In una terra come la nostra, che da sempre è frontiera tra diversità, è più facile interrogarsi, capire, gettare lo sguardo oltre i confini, reali e immaginari. Qui sta il nostro ruolo, essere la regione europea che presenta il volto dell’Europa alle genti che ci cercano dal sud del mondo; essere, e averne consapevolezza, non lontana periferia, ma parte integrante di un organismo che sopravvive se la sua interezza agisce con le articolazioni e ne esalta la funzione specifica, non corpo estraneo, ma coessenza di una realtà che anche da qui qualche millennio fa ha cominciato il percorso per diventare la civiltà europea".