Barresi: Crotone, una città fantasma
Riceviamo e pubblichiamo una nota stampa a firma di Salvatore Barresi
“I dati locali sull’occupazione sono allarmanti. L’andamento dell’occupazione nel 2012 vede un rallentamento della domanda di lavoro con un incremento massiccio delle ore di cassa integrazione richieste dalle imprese locali. Il rallentamento della domanda di lavoro delle imprese locali è l’altro dato impressionante che sta marcando l’intera economia provinciale. La percentuale delle aziende, quelle poche che sono ancora in vita, che prevedevano nuove assunzioni entro l’anno è bassissima. Cresce in modo evidente la disoccupazione tra i laureati crotonesi che si accontenta di vivere a stenti e nelle famiglie di provenienza. I dati che circolano sulla città di Crotone e la sua provincia indicano un impoverimento progressivo delle famiglie, baluardo più forte contro la miseria economica.
In questo canestro di povertà assoluta e nell’ampia fetta dei poveri dei nostri giorni quello più colpito localmente è il “lavoratore povero”, inquadrato sotto la definizione di woorking poor, che lavora saltuariamente, quello sottopagato collocato ai margini nel mercato del lavoro. Una città fantasma dove i sindacati e la politica ammiccano, e il potere economico e quello istituzionale fanno l’amore per interessi non collettivi. Ma cosa è avvenuto e cosa sta avvenendo a Crotone, sotto i colpi della crisi, nella parte più povera, debole, della città? L’incidenza della povertà relativa nella realtà di Crotone (24,6%), verificando l’andamento della spesa media procapite, è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al Mezzogiorno (23%) e alla media italiana (11%).
Questa situazione paradossale è dovuta al risparmio delle famiglie crotonesi, da un lato, che hanno temporaneamente attinto ai risparmi per mantenere lo stesso livello dei consumi, senza far fronte a spese impreviste. Dall’altro, si è completamente ridotta la propensione al risparmio negli ultimi due anni modificando la composizione sociale della povertà. Il peggioramento delle condizioni di vita delle famiglie crotonesi, in linea con tutto il Mezzogiorno, è davvero impressionante: in soli due anni, tra il 2009 e il 2011, l’incidenza della povertà delle famiglie con tre e più figli minori è passata dal 37 al 50,6%: un balzo di oltre dieci punti percentuali.
Nelle famiglie crotonesi “con membri aggregati” (coppie o genitori soli che vivono sotto lo stesso tetto con figli e nipotini, o con fratelli e genitori anziani) il rischio di povertà è incombente: l’incidenza della povertà passa dal 33 al 42,6%: un aumento di dieci punti percentuali in soli due anni. Persiste ancora, grazie a Dio, nella realtà crotonese la caratterizzazione familiare, la trasmissione intergenerazionale, seppur è evidente una diffusione di forme di povertà grave, anche di tipo alimentare, che farebbe pensare a condizioni simili a quelle già sperimentate nel dopoguerra.
L’aggravamento dei dati sulla povertà locale non è solo un riflesso della crisi economica, ma anche delle scelte di politica economica e sociale e in particolare dei tagli lineari della spesa pubblica, ma soprattutto dalla mancanza di programmazione e progettazione sociale da parte della classe dirigente locale. Se guardiamo i dati basterebbe vedere che localmente, la città e la provincia, non hanno, tra il 2008 e il 2011, saputo sfruttare i benefici dei finanziamenti messi a disposizione dal Fondo nazionale delle politiche sociali, dal Fondo per le politiche per la famiglia, dal Fondo per le politiche giovanili e dal Fondo sociale per gli affitti, e niente dal Fondo per la non autosufficienza e dal Fondo nazionale per l’infanzia (il cosiddetto Piano nidi) che oggi sono stati del tutto azzerati dal Governo nazionale.
Mentre i Comuni del Centro-Nord finanziano le politiche sociali in larga parte con risorse proprie, il sistema locale di welfare dipende in misura maggiore dai trasferimenti statali e regionali e se non sono state sfruttate sono opportunità mancate. Una classe dirigente perdente, incapace di sfruttare tutte le opportunità messe in campo negli ultimi dieci anni. Una classe dirigente che ha portato Crotone a diventare una “città fantasma”. Non c’è più niente a cui aggrapparsi. Nessuno parla più di sviluppo. Nessuno per paura non formula più ricette per il futuro. È chiaro che in una città fantasma vivono fantasmi che non reagiscono a nulla. Nessuno parla più di crescita, finanza e infrastrutture che sono le parole-chiave del contesto socio-economico attuale. Nessuno più nella città di Pitagora riesce a illustrare l’intimo legame fra queste tre parole chiave che possono sviluppare politiche locali in grado di liberare la crescita attraverso lo sviluppo delle infrastrutture.
Nessuno più nella città delle grandi industrie della Calabria riesce ad illustrare le opportunità che, a tale scopo, possono essere offerte dalle istituzioni finanziarie. Nessuno più nella città di Milone e Alcmeone si confronta sui molti problemi e sulle sfide del nostro tempo. Nessuno più nella città ricca di metano e altro crede che sia urgente far crescere il grado di fiducia reciproca, senza la quale il mercato stesso non può pienamente espletare la propria funzione economica. Nessuno più nella città più povera della Calabria e dell’Italia riesce a tracciare una via istituzionale della carità di fronte alle sfide della globalizzazione plurale e poliarchica. Nessuno più nella città di mare e montagna, legati in maniera indissolubile, pensa ad una nuova cultura economica in grado di liberare energie e risorse per la crescita, di superare le resistenze degli interessi corporativi, le aree di privilegio e di rendita, e di saper creare nel contempo stabili condizioni per quel benessere diffuso, di cui devono beneficiare anche coloro che fino ad oggi ne restano esclusi.
Nessuno più nella città di Crotone, baluardo dell’economia regionale per un intero cinquantennio, intende discutere a nuove forme tese a valorizzare il capitale umano e sociale, a promuovere il talento, l’iniziativa individuale e collettiva, la capacità e la voglia di intraprendere, di sperimentare, di innovare, di competere, e di assumerne il ragionevole rischio. Una città fantasma, fredda e cinica che evita la discussione sulla opportunità di conciliare competizione, flessibilità, dinamismo e innovazione, con la salvaguardia di alti livelli di solidarietà e di coesione sociale, di tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini, di qualità della vita, di sostenibilità ambientale e di qualità dei servizi sociali. Una città persa che dovrebbe pensare alla speranza di tutti e non all’egoismo personale che sta arricchendo pochi e impoverendo tanti.”